Queer

Queer recensione film di Luca Guadagnino con Daniel Craig

Queer recensione film di Luca Guadagnino con Daniel Craig, Drew Starkey e Lesley Manville 

di Joaldo N’kombo

Daniel Craig in Queer (Credits: Yannis Drakoulidis)
Daniel Craig in Queer (Credits: Yannis Drakoulidis)

È passata la stagione dello sport, le racchette da tennis sono state appese al chiodo, le partite sul campo sintetico sono finite. Challengers ha fatto il suo tempo, i titoli di coda sono terminati ed ora è arrivato il momento dell’ultima fatica di Luca Guadagnino: Queer. Un film che, molto semplicemente, parla d’amore, un amore totalizzante, deleterio, ossessivo e, soprattutto, patetico – ma anche tenero.

Il soggetto è preso dal romanzo Queer – tradotto Checca in italiano – di William S. Burroughs, rinomato esponente della beat generation, quel movimento letterario composto da scrittori americani stralunati, poeti autodistruttivi che vissero la loro vita tra allucinogeni di vario tipo percorrendo l’America in autostop e fermandosi, occasionalmente, ad ascoltare beat di jazzisti furiosi posseduti dallo spirito della musica in un qualche locale di New Orleans.

L’avventura in questione però inizia a Città del Messico; Lee (Daniel Craig) è uno scrittore di mezza età – presumibilmente tormentato – che, in un dolce far niente, spende il suo tempo in vari bar disquisendo con la solita cerchia di amici e intavolando, quando ci riesce, qualche rapporto sessuale. L’incidente scatenante avviene nel tempo di uno sguardo quando l’uomo posa i suoi occhi su un giovane ragazzo mai visto prima: Eugene Allerton (Drew Starkey).

Una delle cose dalla quale vale sicuramente la pena iniziare è Daniel Craig. Quell’attore che per anni è stato il volto di James Bond e che, per Guadagnino, si è invece spogliato completamente, lasciandosi andare a un tipo di fragilità che probabilmente nessuno avrebbe mai pensato lui potesse farsi portavoce in una maniera così corporale. Una fragilità che nel romanzo riflette esplicitamente le vicissitudini di Burroughs e che in questa trasposizione cinematografica sembra richiamare a gran voce lo stesso regista che in Lee – e nell’attore inglese –  ha trovato il suo avatar perfetto.

Se si pensa alla filmografia di Guadagnino, alla sua fascinazione per l’amore giovanile, va da sé che Queer si mostra come una sorta di punto di arrivo in cui l’uomo Guadagnino riflette sulle sue ossessioni estetiche, con l’aiuto di un Daniel Craig febbricitante, perennemente sudaticcio e impacciato, tanto da sembrare ancora rinchiuso in una dimensione adolescenziale che aspetta di raggiungere la saggezza della maturità.

In questo discorso Eugene/Drew Starkey è come se incarnasse tutta quella bellezza tanto anelata dal regista (da Elio e Oliver di Chiamami con il tuo nome sino al trio di Challengers), un oggetto del desiderio-mondo, il centro dell’universo stesso che, se guardato, non può far altro che causare l’agitata malattia dell’innamoramento.

Ecco allora che Guadagnino mostra le sue doti registiche, mutuando – soprattutto nella prima parte del film – quella cadenza serrata ed esuberante che caratterizzava Challengers.

Regia e montaggio sono frenetici in un modo però che, semanticamente, è diverso dall’altro, proprio per come sembrerebbe essere tutto legato alla soggettività di Lee, alla sua infatuazione verso Eugene. È un ritmo che mano a mano si va più o meno a stabilizzare lasciando spazio a una messa in scena sempre più onirica e psicologica, quando il film arriva nelle battute più introspettive pregne di simbolismi surrealisti. Nota di merito poi per la suggestiva fotografia che, richiamando la solitudine alienante dei dipinti di Hopper, suggella il quadro di un film esteticamente egregio.

La cosa su cui però Queer sembra perdersi di più è il ritmo. Le situazioni si fanno piuttosto ridondanti e, sebbene sia bello riflettere su cosa significhino questi personaggi nella filmografia di Guadagnino, a conti fatti, il più delle volte risultano essere abbastanza piatti, soprattutto Eugene. Una pecca che, onestamente, pesa. Proprio come pesa anche il minutaggio di 132 minuti, che avrebbe probabilmente tratto giovamento da una piccola asciugatura. Ma, ciò nonostante, è quasi impossibile non rimanere ammaliati dai picchi di tenerezza estetica e narrativa che, sorpassando l’esplicito erotismo, questo film riesce a raggiungere, soprattutto verso l’atto finale.

Luca Guadagnino, insieme allo sceneggiatore Justin Kuritzes, ricama le lodi di un innamorato che tenta disperatamente di essere visto e di comunicare con l’altro, costituendo sicuramente un film personale per Daniel Craig, che si ritrova a decostruire l’immagine che si è creato in anni d’attività, per lo spettatore, che non può far altro che rivedersi nel delirio amoroso di Lee e, in primis, per lui stesso.

 

Sintesi

Queer è un film appartenente visceralmente a Guadagnino, che, però, ha scelto di rendere pubblica la sua creatura permettendo a chiunque di ritrovarsi nelle trame del protagonista. Su note grunge, alt-rock e post punk (Verdena, New Order e Nirvana su tutti), Queer è un viaggio psichedelico, simbolico, sognante, infernale e ultimamente dolce. La coppia Daniel Craig e Drew Starkey non può che essere rappresentativa di quelle sfortunate situazioni amorose dove una delle due parti ama sempre più dell’altro. In Queer l’amarezza è costante come anche l’intensità del sentimento.

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