Quella villa accanto al cimitero recensione del film scritto da Dardano Sacchetti e diretto da Lucio Fulci con Paolo Malco, Catriona MacColl e Giovanni Frezza
Quella villa accanto al cimitero è un film di genere horror del 1981, ultimo capitolo della Trilogia della Morte di Lucio Fulci, iniziata con Paura nella città dei morti viventi e proseguita con L’aldilà. Giunto a una delle sue ultime opere orrorifiche degne di nota, il regista capitolino e il suo fedele sceneggiatore Dardano Sacchetti hanno voluto riavvicinarsi alla loro prima incursione nel genere (Zombi 2), spostando il discorso sulla paura metafisica e volatile, lovecraftiana, a una dimensione ancor più fisica e bestiale.
Con uno schema narrativo che ricorda Shining (1980) di Stanley Kubrick, il film è una variazione tutta fulciana del tema della casa infestata. Conscio di non poter replicare la potenza visionaria dei due film precedenti, Fulci ha deciso di cambiare registro, sfoderando lo splatter solo quando strettamente necessario e puntando soprattutto sulla tensione e gli aspetti più ansiogeni.
Quella villa accanto al cimitero all’uscita è stato un enorme successo di botteghino malgrado il divieto ai minori di 18 anni, al punto da superare commercialmente i precedenti capitoli della Trilogia della Morte, e venendo acclamato da alcuna critica specializzata come l’horror più spaventoso e radicale filmato da Lucio Fulci, forte di un equilibrato scorrere parallelo di suspense e violenza, che racconta con un certo lirismo un deviato esempio “gotico italiano”.
Quella villa accanto al cimitero: sinossi
La famiglia Boyle ha terminato i preparativi per il trasferimento in una casa di Boston appartenuta al defunto dottor Petersen, deceduto in circostanze macabre e poco chiare. Il figlio Bob (Giovanni Frezza) sostiene però che un’inquietante bambina in foto sconsiglia loro il trasloco, e infatti, appena la famiglia giunge al nuovo domicilio, si scopre che il primo inquilino era il famigerato dottor Freudstein, un chirurgo radiato dall’ordine per essersi consacrato a raccapriccianti esperimenti.
Quello che i Boyle non si aspettano è che Freudstein è un non-morto che ha assunto un aspetto demoniaco e vive nell’oscurità della cantina, in attesa del momento giusto per colpire le sue vittime.
Uno Shining all’italiana
Le similitudini tra Quella villa accanto al cimitero e la trasposizione del romanzo di King firmata Kubrick si sprecano tra allucinazioni spaventevoli e apparizioni soprannaturali. Tuttavia non sarà il protagonista, il capo-famiglia ricercatore Norman (Paolo Malco), a fare il verso all’eccentrico scrittore e padre frustrato interpretato da Jack Nicholson (la follia omicida proviene da un’entità esterna alla famiglia protagonista del film, un mostro purulento e irrazionale dai tratti antropomorfi), e le stesse allucinazioni differiscono in stile, molto più efferate e macabre.
Ancora una volta, Lucio Fulci ambienta la storia in una città capitalista di finzione per simboleggiare la presenza immanente del male, che ormai dilaga ovunque, indisturbato; e arricchisce la narrazione di eventi e personaggi, necessari per far sì che la tensione della trama accresca il clima di sospetto e mistero presente in essa. Fanno da contrappeso a tutto ciò la presenza violenta e ultraterrena di Freudstein, nonché il ritorno del cimitero e della tomba come allegorie della morte, sia spirituale sia carnale, che si è impadronita di una casa dove le logiche spazio/temporali sono andate a smarrirsi nel turbinio di sangue e terrore.
L’orrore allo stato d’arte
Da Shining di Kubrick derivano pure i temi della solitudine e disgregazione di un nucleo familiare, anche se lo stile con cui il tutto viene messo su schermo è decisamente più marcescente e meno elegante. I classici primi piani sugli sguardi permettono l’esplorazione dell’intimità degli attori per alimentare i sospetti e i dubbi, mossi dall’impianto giallo del plot, e per ricreare una visione fortemente influenzata dagli stati emotivi.
La fotografia del collaboratore storico di Fulci, Sergio Salvati, quasi esclusivamente giocata su toni cromatici autunnali, compone le immagini imprimendo la giusta dose di claustrofobia. L’adeguata colonna sonora di Walter Rizzati e gli ottimi trucchi pratici di Giannetto De Rossi sono ancora oggi capace di disturbare, sintonizzandosi perfettamente sul gusto fulciano per l’orrido tendente all’artistico.