Recensione Mary e lo spirito di mezzanotte recensione film di Enzo d’Alò con Mia O’Connor, Sharon Horgan, Brendan Gleeson, Rosaleen Linehan e Charlene McKenna [Anteprima]
Possiamo anche non conoscere il nome di Enzo D’Alò, ma di certo conosciamo alcune delle sue opere più famose. Perché d’Alò è stato parte dell’infanzia di molti. Sia perché ce li hanno mostrati i genitori, sia perché li abbiamo visti alle elementari; in un modo o nell’altro siamo entrati in contatto con La gabbianella e il gatto o Pinocchio.
Film per bambini, per l’appunto, così come la totalità della sua filmografia, uno dei pochi che è riuscito a ritagliarsi uno spazio e a farsi un nome nel cinema d’animazione italiano.
Un panorama che proprio nel nostro paese non conosce una particolare fortuna, i tempi di produzione sono molto dilatati, il budget spesso risicato. Nonostante ciò vada ad inficiare il lato tecnico, disegni e animazioni, con la sua ultima opera D’Alò riesce a superarsi e, in alcuni momenti, a mascherare i limiti di una produzione difficoltosa.
Mary e lo spirito di mezzanotte, in sala dal 23 novembre, è la summa della poetica del regista: un film per bambini, un racconto che per essere apprezzato necessita dello sguardo dell’infante che va oltre le incongruenze narrative e le ingenuità della storia.
Lo sguardo di uno spettatore che riesce a sospendere la propria incredulità in maniera spontanea e genuina. Al contempo un film maturo e adulto non tanto nei personaggi e nelle vicende, quanto nelle tematiche trattate, forse le più mature che si siano mai viste nei film del maestro.
Se ne La gabbianella e il gatto il fulcro del racconto è la dolce “storia di una gabbianella, e del gatto che le insegnò a volare”, con una forte tematica ambientalista sullo sfondo, in Mary e lo spirito di mezzanotte il tema è il racconto stesso, mentre le più leggere linee narrative sono spostate sullo sfondo.
Forse è proprio questo l’errore di D’Alò, mettere troppa carne al fuoco in una storia che racconta qualcosa di enorme e non quantificabile, una storia che parla di vita e di morte.
Tutto passa in secondo piano di fronte a un soggetto così importante. La storia di un’amicizia che rischia di sparire, del rapporto tra una madre e una figlia che non riescono a capirsi, del sogno di una bambina. Tutte sottotrame sulle quali si passa flebilmente, specie perché il tema centrale è trattato in maniera sublime e, di conseguenza, ruba l’intera scena.
Non è facile raccontare la vita e la morte a un bambino e spiegare il significato di due parole che vorrebbero esprimere un concetto potenzialmente infinito. In questo va lodata l’opera, nel riuscire a trasmettere questo messaggio senza appesantirlo né banalizzarlo, mescolandolo alla storia di una famiglia che vive nell’amore, al sorriso di una bambina e a quel tocco di magico e fantastico che non guasta mai.
Ed è così che un film per bambini diventa un film per tutti, capace di parlare anche all’adulto, di toccarlo ed emozionarlo. La storia che viene racconta è universale, senza tempo e senza luogo, mai retorica o didascalica e perfetta nel cuore di ciò di cui vuole parlare.
Il tutto traghettato da un’animazione e dei disegni che funzionano, con il loro stile minimale e molto identificativo, perfetto per il target a cui il film è rivolto. In alcune sequenze la tecnica riesce anche a stupire, mostrando stili diversi è ricercati in un’animazione low frame perfettamente integrata alla narrazione che riesce infine addirittura a mescolarsi all’estetica principale.
La regia completa il lavoro, non sempre lasciandosi trasportare da particolari guizzi visivi, ma mostrando l’azione in maniera chiara e pulita.