Red recensione film d’animazione Disney Pixar di Domee Shi con Rosalie Chiang, Sandra Oh e le voci italiane di Shi Yang Shi e Marco Maccarini
Come comunicare il delicato periodo della pubertà attraverso le immagini in movimento? È una domanda che il cinema si pone da diverso tempo, e che ha trovato un slancio importante dagli anni Ottanta sino a oggi. Uno dei modi che la cinematografia ha trovato per raccontare questo periodo di transizione è la metamorfosi (di evidente matrice kafkiana), ovvero far piombare sui protagonisti un cambiamento inaspettato che li porta a confrontarsi con un nuovo “sé”.
Il più recente, nonché venticinquesimo lungometraggio targato Pixar, Red, tratta proprio di questa evoluzione, ma lo fa in maniera del tutto particolare.
Il film è significativamente ambientato in una Toronto dei primi anni Duemila, tra boy band, Tamagotchi e videocamere portatili. Qui vive Meilin Lee, una tredicenne da sempre ligia al dovere, ma che, improvvisamente, scopre di avere delle “pulsioni”, a suo avviso, sbagliate. Pur cercando di nasconderle a sua madre, una donna molto amorevole, ma anche molto apprensiva, finisce per venire scoperta, cosa che la porterà a un grande imbarazzo davanti ai suoi compagni di scuola. A causa di questo miscuglio di emozioni, da un giorno all’altro qualcosa in lei muta, ma non nel modo in cui ci si aspetterebbe. Infatti, la giovane Mei deve imparare a fare i conti con la sua “bestia” interiore, un grande panda rosso nel quale si trasforma ogni volta che le emozioni hanno il sopravvento.
Metamorfosi che è metafora, la scelta della regista Domee Shi diventa il fulcro di questa narrazione piena di imprevisti, momenti di forte identificazione e sequenze esilaranti. Il tutto grazie a una linea stilistica che si distacca completamente dalla solita poetica pixariana per andare incontro a un miscuglio generazionale che ricopre più di trent’anni di storia dell’audiovisivo. Un cambio di rotta che, probabilmente, è stato possibile solo grazie all’allontanamento del leggendario John Lasseter, la cui ricerca dell’american way of life ha sempre condizionato (in modo più o meno evidente) le produzioni della fortunata casa d’animazione.
Nel caso di Red, ci troviamo a confronto con una ricerca dell’iperattività visiva, tra movimenti di macchina spesso irrealistici e animazioni che riecheggiano la tradizione degli anime orientali. A scontrarsi con questa stilizzazione, sia visiva che caratteriale, troviamo la solita ricerca dell’iperrealismo che contraddistingue da sempre i film della casa produttrice di Emeryville.
Anche questa volta, il livello qualitativo che compone l’immagine a schermo rappresenta un ulteriore traguardo tecnologico, dimostrando che la Pixar, pur magari avendo perso colpi nel campo della sperimentazione di stili, guida ancora l’innovazione prettamente tecnica. Le strade di Toronto, i suoi grattacieli, i suoi interni sono la colla che lega il design caricaturale dei personaggi alla ricerca di un ambiente spiccatamente realistico. Accompagnato da una musicalità che catapulta direttamente all’inizio del secolo, il mondo creato dagli artisti della Pixar prende vita in modo irrequieto e dinamico grazie alla regia di Domee Shi.
Tra un ferreo utilizzo delle “regole” cinematografiche e una loro decostruzione resa possibile dalla natura digitale del progetto, il film dondola costantemente tra il rispetto della tradizione e la completa abolizione di quest’ultima, esattamente come gli sbalzi d’umore che segnano la nuova vita “bestiale” di Meilin.