Red Rocket recensione film di Sean Baker con Simon Rex, Bree Elrod, Suzanna Son, Brenda Deiss, Ethan Darbone e Judy Hill
Quando una delle prime opere di un regista emergente nel giro di un paio d’anni riesce a raggiungere i banchi universitari, è inevitabile che si inizi a guardare a tale figura in modo curioso e appassionato. Non a caso, Red Rocket, più recente istanza cinematografica dell’apprezzatissimo Sean Baker (regista, tra gli altri, del già parzialmente citato Tangerine e di Un sogno chiamato Florida), è stato protagonista di una delle proiezioni più affollate della 16° edizione della Festa del Cinema di Roma. Con questo film, che è nato in parte a causa dell’attuale crisi sanitaria, il regista statunitense torna a parlare degli ultimi, questa volta in un Texas che pare bloccato nel tempo.
Le bizzarre peripezie di Mikey (Simon Rex), tornato all’ovile dopo anni di carriera nel settore pornografico, si estendono e fondono come una macchia sulla frastagliata pellicola 16mm, che imprigiona e fa suoi i desolati paesaggi della periferia industriale di Texas City. Il riferimento al cinema di genere e d’autore italiano degli anni ’70 non è certo tenuto segreto (lo ha rivelato lo stesso regista durante la conferenza stampa che ha avuto luogo poco dopo la proiezione), specialmente quando vengono inquadrate le alte e fumanti ciminiere delle fabbriche ancora in funzione, che non possono non far tornare la mente all’Antonioni di Deserto Rosso.
Attraverso zoom a schiaffo, primissimi piani e alternanza tra spazi angusti e panorami sconfinati, Baker è in grado di raccontare una storia vecchia di millenni, quella dell’uomo più attempato che si invaghisce della ragazza più giovane del quartiere. In questa storia d’amore solare e leggera si nasconde, come spesso accade, la serpe del riso amaro.
Mickey è detestabile: uno di quegli individui dai quali si cercherebbe di stare alla larga il più possibile in un contesto di vita reale. Tuttavia, forse merito anche della frizzante e a tratti infantile interpretazione di Simon Rex, non si può fare a meno di seguire affascinati le avventure improbabili di questo strano e insopportabile personaggio sul limitare della mezza età, immesso ironicamente sulla traiettoria del racconto di formazione adolescenziale.
Forse Red Rocket, nella durata, poteva essere asciugato un po’ di più, dato che fin troppe volte staziona in situazioni abbastanza ridondanti, ma, in generale, il risultato finale convince e cattura, catapultando in questa storia ai confini del mondo, simulacrale e simbolico, nonché perennemente afflitto dall’afa estiva, capace di rendere ogni veduta più un miraggio che una realtà tangibile.