Regina recensione film di Alessandro Grande con Francesco Montanari, Ginevra Francesconi, Barbara Giordano e Max Mazzotta al Torino Film Festival 38
Unico alfiere a rappresentare l’Italia all’interno del concorso della 38esima edizione del Torino Film Festival, Regina segna l’esordio nel lungometraggio di Alessandro Grande, che già si è fatto un nome vincendo il David di Donatello per il corto Bismillah. Per l’occasione, il regista originario di Catanzaro sceglie di ambientare il suo primo film proprio all’interno di una Calabria inedita, nella quale prevalgono atmosfere lacustri che si sposano perfettamente con lo stile del racconto. Il genere di elezione sembra infatti essere il noir, che si inserisce in una costruzione più articolata volta all’analisi delle dinamiche sociali e delle difficoltà nell’essere genitori e figli oggi.
C’è un prima e un dopo in Regina, un momento chiave che cambia di segno la narrazione e fa virare quello che parte come il classico film adolescenziale in qualcosa di più strutturato e atipico. Il rapporto tra la protagonista, 15enne orfana di madre che vorrebbe sfondare come cantante, e il padre, un uomo immaturo che riversa i suoi sogni in quelli della figlia, subisce un contraccolpo e tutte le certezze iniziali cominciano a vacillare. Alessandro Grande insiste sul tarlo del rimorso, sull’impossibilità di andare avanti, sulla difficoltà nel tracciare una linea. La macchina da presa indugia soprattutto su Regina, si insinua nella sua fragilità e cerca di arrivare al fondo della sua anima.
Quella del regista calabrese non è un’impresa facile, perché il racconto dei demoni interiori di un’adolescente si presta, il più delle volte, a una rappresentazione stereotipata basata sull’autodistruzione e sulla progressiva discesa negli Inferi. Sebbene con una regia acerba, Grande prova a smarcarsi da quei cliché, a prendere una via diversa e ad entrare in profondità nella psicologia di una ragazza che non riesce a perdonare se stessa. I limiti del film sono più legati all’approfondimento delle figure secondarie, che si stagliano monodimensionalmente ai margini della narrazione (le amiche, il fidanzato, in certi punti persino il padre). Anche il rapporto genitore-figlio viene analizzato con uno sguardo atipico, comprensivo ma allo stesso tempo severo. Pare che si siano invertiti i ruoli: la ragazza ha una maturità che la porta a vivere con sofferenza quello che è successo, mentre il padre reagisce con la fuga dalla realtà e un atteggiamento totalmente irresponsabile. Nonostante le semplificazioni a livello di scrittura, il film riesce a comunicare l’inadeguatezza in cui si trovano i due personaggi, appoggiandosi sulle prove convincenti della giovane Ginevra Francesconi (già vista in The Nest – Il nido) e di Francesco Montanari (Romanzo Criminale – La serie, Sole cuore amore).
Regina mostra tutti i difetti delle opere prime ma ha anche il pregio di non adeguarsi a una produzione con lo stampino, andando a cercarsi territori propri e inesplorati. Quello che non funziona a livello di intreccio, Alessandro Grande riesce a mascherarlo grazie all’attenzione al personaggio principale e alla scelta di non adagiarsi sugli stereotipi di molto cinema adolescenziale. Un film che non stona affatto all’interno del concorso e che rappresenta un buon punto di partenza per un regista che deve ancora affinarsi sulla lunga durata.