Riabbracciare Parigi recensione film di Alice Winocour con Virginie Efira, Benoît Magimel, Grègoire Colin, Maya Sansa e Amadou Mbow.
Parigi, 13 novembre 2015, Mia sta tornando a casa in moto. Quando una fitta pioggia improvvisa la sorprende, decide di ripararsi a L’étoile D’Or. Il locale è pieno di gente quando i terroristi entrano e iniziano a sparare.
Tre mesi dopo, Mia sta provando a ricostruire quanto è successo di cui non ricorda nulla. Sarà anche grazie a Thomas, presente nel locale quella sera per festeggiare il suo compleanno, che riuscirà a rimettere insieme i pezzi.
L’etimologia della parola “trauma” deriva dal greco e vuol dire “ferita”, per gli psicologici infatti un trauma psicologico viene spesso definito una “ferita dell’anima”, causata da un evento che irrompe nella normalità della vita di un individuo e ne modifica il modo di vedere il mondo; un impatto negativo sulla persona che lo vive e ne subisce le conseguenze.
È questo che accade a Mia, che ci viene mostrata nella sua normalità quotidiana bruscamente interrotta da un evento tragico violento, che non solo mette a repentaglio la sua vita ma sconvolge la percezione delle situazioni che la circondano, condizionandone il modo di agire. La giovane donna tenterà di rimettere insieme gli eventi subiti consapevole che, solo in quel modo, riuscirà a riprendere in mano la sua vita.
Alice Winocour prova a dare voce alle vittime dei violenti attentati che sconvolsero Parigi nel 2015 e lo fa attraverso un racconto verosimile dei fatti accaduti, senza soffermarsi sugli eventi in sé ma piuttosto sull’impatto che essi hanno avuto su coloro che li hanno subiti.
La Winocour infatti lascia l’evento violento, l’attentato, quasi in secondo piano, mostra degli attentatori solo le gambe e cela tutto il resto. Rispetta le vittime decidendo di non soffermarsi sui corpi inermi per concentrarsi sulle anime che restano. Sui vedovi, sugli orfani e sui superstiti, provando a raccontare “il giorno dopo”, cosa accade quando la quotidianità viene stravolta.
Così Mia rivede la sua vita. Le sue prospettive. Cambia i progetti futuri. Modella i silenzi dandogli un nuovo senso. Si allontana da tutto quello che era stata prima per plasmarsi attraverso il dolore e tenta di ricavarne qualcosa di buono. Qualcosa che non la obblighi a ripensare a quel momento con rancore. Questa mutazione avviene attraverso la ricerca del ragazzo che le ha salvato la vita.
Virginie Efira è delicata e struggente, con quello sguardo malinconico e smarrito non si capisce se per l’incredulità di essere ancora viva o per il senso di colpa di non essere morta. Il Premio César come Migliore attrice non poteva essere consegnato in mani migliori.
Il racconto di Alice Winocour, interpretato magnificamente da Virginie Efira, è un viaggio nella consapevolezza che niente sarà mai più come prima.
Una Parigi mostrata quasi sempre buia, illuminata solo dalle vivide luci delle sirene di una città in ginocchio ma non sconfitta, a sprazzi viene illuminata a giorno, ogni volta che Mia conquista un pezzo dei suoi ricordi torna la luce. Ma alla fine sarà comunque buio. Il buio del lutto. Perenne.