Ritratto della giovane in fiamme recensione del film di Céline Sciamma con Noémie Merlant, Adèle Haenel, Luàna Bajrami e Valeria Golino
Vincitore del premio per la sceneggiatura sia al Festival di Cannes che agli European Film Awards, Ritratto della giovane in fiamme è un film in costume pienamente figlio dei nostri tempi. Scritto e diretto da Céline Sciamma, regista francese già nota per Tomboy, il film, ambientato intorno al 1770, ruota intorno all’amore fra Marianne, una giovane aristocratica, e Héloise, la pittrice incaricata di farne il ritratto da mandare al suo pretendente. Rispettivamente interpretate da Noémie Merlant e Adèle Haenel, le due protagoniste sono affiancate da un cast molto ristretto in cui spicca il volto della nostra Valeria Golino, qui madre di Marianne.
Nel trattare un simile soggetto c’era facile rischio di creare un film didascalico e ingenuamente militante; errore in cui la Sciamma riesce a non incappare. Il risultato è un film sontuoso, in alcuni passaggi emozionante, con una buona fotografia a cura di Claire Mathon ed esterni spettacolari girati in Bretagna. Céline Sciamma ha compiuto tre particolari scelte registiche: l’assenza di musica, se non in tre momenti – piuttosto importanti nell’economia del film – in cui uno o più personaggi suonano sullo schermo; creare una storia senza conflittualità fra i personaggi, nemmeno fra Marianne e la madre che pure spinge per il matrimonio con un milanese che la ragazza neanche conosce; interessante anche la quasi totale assenza di maschi nel cast del film.
Non riguardano però l’amore fra le due donne, un tema ormai abbastanza comune sugli schermi, i passaggi del Ritratto della giovane in fiamme che restano più impressi, vale a dire la sottotrama che vede la giovane domestica Sophie (Luàna Bajrami) cercare un modo per compiere un aborto clandestino e l’ultima scena del film, ambientata in una sala da concerto. Degno di nota anche il sottotesto simbolico del film, sia per quanto riguarda la presenza ricorrente del fuoco – tutt’altro che origiale, ma visivamente bellissimo – che per quanto riguarda i vari colori degli abiti delle protagoniste.
La regia della Sciamma non è particolarmente innovativa ma è piuttosto ben calibrata per la storia che vuole narrare e per gli ambienti in cui si svolgono le vicende; è invece un po’ fastidioso un momento in cui a ruota il montaggio audio e il montaggio video si sfalsano. L’assenza di una chiara dialettica fra interni ed esterni – comprensibile alla luce del fatto che gli interni sono stati girati in una villa nei pressi di Parigi, gli esterni invece sulla costa – e la scarsa presenza di altri personaggi al di fuori delle due donne e della domestica danneggiano un po’ il film, che avrebbe giovato di un focus leggermente più ampio. Abbastanza esplicito, all’inizio del film, il richiamo a Lezioni di piano di Jane Campion.
Ritratto della giovane in fiamme non è un film particolarmente rivoluzionario, come pure si vorrebe far credere; può essere senz’altro definito un film femminista, ma questa è una definizione che lascia il tempo che trova per un’opera filmica. Ciò che conta è che si tratta di un racconto ben condotto e piuttosto ben costruito, che trasporta lo spettatore nel Settecento in cui hanno luogo le vicende delle due protagoniste dando, senza grosse forzature, un taglio LGBT alla storia dimenticata delle pittrici donne del passato.
Ludovico