Saltburn recensione film di Emerald Fennell con Barry Keoghan, Rosamund Pike, Jacob Elordi, Richard E. Grant, Alison Oliver, Archie Madekwe e Carey Mulligan [Prime Video]
Oliver Quick è uno studente di Oxford. Timido e introverso, proviene da una famiglia di umile estrazione sociale. Quando conosce Felix Catton, rampollo di una famiglia ricca e aristocratica, sviluppa per lui una vera e propria ossessione. Durante la pausa estiva Felix invita Oliver a Saltburn, la tenuta di famiglia, per un’estate indimenticabile che cambierà le loro esistenze.
La seconda opera da regista di Emerald Fennell inizia come il migliore dei video musicali di una canzone pop, con tanto di titolone colorato stagliato a caratteri gotici sullo schermo, con quel 4:3 d’autore che inizialmente stona e innervosisce, per la presunzione che porta con sé, ma che, alla fine si lascerà apprezzare.
Il dramma si svolge in questa monumentale e museale tenuta inglese, non prima però di essersi radicato nella mente del giovane Oliver, ambizioso ma economicamente impossibilitato a realizzare i suoi sogni, oscuri. È uno dei protagonisti primari, il dramma. Si infila tra le mura drappeggiate e di legno intarsiate, si infila nei letti disfatti e si nasconde sotto quadri enormi, costosi e inquietanti.
Saltburn apparentemente terra delle meraviglie, si rivela per quella che è: una landa desolata dove i sentimenti non sono concessi perché inconcepibili alla ricchezza, unico predominio delle menti, diventando culla del dolore e della solitudine.
La stessa, inesorabile solitudine che anima Oliver e ne protegge le azioni fin dai primi attimi. Il ragazzo compare da solo davanti alla macchina da presa e, quando la musica del video musicale pop di cui sopra termina, la prima parola che udiamo nei suoi confronti è vessatoria e la sua non-reazione ci induce a pensare che sarà la vittima del dramma che da lì a poco si svolgerà sotto i nostri occhi, ignari di essere stati, anche noi, meramente ingannati.
A guardarlo bene non può non farci venire in mente Chiamami con il tuo nome di Guadagnino, vuoi per l’ambientazione estiva, vuoi per il contesto, vuoi per i protagonisti ma l’operazione della Fennell, autrice ancora una volta anche della sceneggiatura, scorpora la narrazione da ogni sentimento, amore compreso, e lascia che tutto si trasformi in odio convulso.
La pellicola di Emerald Fennell è un inganno che si fonda sulla bravura del suo interprete principe, uno straordinario Barry Keoghan. L’attore aveva già dato ampiamente prova di sé ne Il sacrificio del cervo sacro ma è che qui si eleva all’apice della sua capacità recitativa.
Saltburn è una bugia perpetua che svela la sua vera natura solo nello spasmodico finale che sembra capace di regalare a Keoghan ogni premio possibile.
Dopo l’Oscar alla sceneggiatura strappato con Una donna promettente, tante aspettative erano puntate sulla Fennell, una delle registe più discusse degli ultimi tempi e, grazie al coraggio infuso in Saltburn, la regista sembra averle superato brillantemente.
Non fosse per alcune scene volutamente provocatorie, che passano il limite della decenza, diventando fuori luogo e disgustose, il film potrebbe rasentare il capolavoro.
La volontà esplicita di sconvolgere in certi casi prende il sopravvento lasciando dietro di sé un rivoltante sgomento. È anche vero che senza quelle scene (forse) la pellicola non risulterebbe così piacevolmente irriverente. Motivo per cui, alla fine, ce le lasciamo piacere.
Saltburn è anche una commedia romantica nella quale si cela un thriller. Un film che si ispira ai più grandi romanzi di formazione e che brilla per la sua ostinazione a voler sorprendere, riuscendoci con un finale seducente che lascia in apnea.