Samaritan recensione film di Julius Avery con Sylvester Stallone, Javon Walton, Pilou Asbæk, Dascha Polanco e Moises Arias
In un’epoca cinematografica sempre più frammentata, poche cose restano immutabili. L’aura carismatica di Sylvester Stallone, nonostante passino gli anni, rimane splendente. L’attore di Rocky e Rambo è riuscito a cucirsi addosso un personaggio supereroe ancora prima che il genere fumettistico prendesse così ampio piede nell’industria hollywoodiana. Probabilmente rappresenta l’attore che meglio figurerebbe come protagonista in un “cinecomic” e Julius Avery ha deciso di metterlo alla prova in Samaritan, nuovo film in uscita su Prime Video.
Samaritan, giustiziere di Granite City è scomparso da oltre 25 anni, dopo lo scontro fratricida con il suo eterno rivale Nemesis. Non tutti però credono alla morte del supereroe, il giovane Sam Cleary (Javon Walton) è ancora speranzoso che possa essere in vita nonostante il tempo trascorso. I dubbi del ragazzo ricadono sul solitario signor Smith (Sylvester Stallone), misterioso netturbino che vive nel palazzo accanto. Dalla scomparsa di Samaritan però, la città è caduta in mano alle bande criminali; una in particolare tormenta il quartiere del giovane ragazzo. Nulla di nuovo come si possa intuire nell’incipit della storia, che tenta di andare sul sicuro; utilizzando stilemi abbastanza noti nel genere action e supereroistico. Chiaramente il focus è altro, è inserire la figura di Sly in quell’ambiente e lasciare che interagisca con esso. Creando un film costruito su misura per i fan di lunga data dell’iconico attore hollywoodiano.
Nonostante il tempo passato, la capacità di catturare lo sguardo della telecamera di Stallone è sorprendente. Il carisma che riesce a mostrare annichilisce chiunque nell’ultimo mezzo secolo abbia provato ad avvicinarsi a questo mondo. Il resto dei personaggi sono semplici accessori per far scorrere su binari abbastanza prevedibili la storia. Qualche piccolo colpo di scena cercherà di sovvertire la situazione ma senza cambiare eccessivamente lo status quo. Pilou Asbæk (che i più ricorderanno per Euron Greyjoy in Game of Thrones) si ritrova a vestire i panni di un anarchico amante della violenza. Figura che per come viene mostrata ricalca abbastanza fedelmente, ma in un ambiente più ristretto, il Bane di Nolan. Così come Granite City si avvicina alla Gotham grezza e piccola mostrata da Todd Phillips nel suo Joker.
Dal punto di vista registico, Julius Avery comprende bene il ruolo di comprimario che la telecamera deve avere, appoggiandosi sulle spalle di Sly per lasciare a lui la scena. Da apprezzare le inquadrature semplici che cercano intelligentemente di aiutare Stallone nella sua performance. Il regista cerca di non strafare anche nei combattimenti, sequenze d’azione coreografate e filmate cercando di far risaltare l’aspetto più fisico della lotta. Avery sì impegna certamente, ma un po’ come tutta la pellicola fallisce nel tentativo di distinguersi nell’ormai immenso genere supereroistico.
Se con The Boys Amazon tenta la decostruzione del genere, con Samaritan cerca di tornare su temi più classici dei film d’azione sui supereroi. La durata ristretta e il mancato sviluppo dei personaggi, forse avrebbero meritato più minutaggio. Una serie sarebbe stata probabilmente più adatta, ma c’è da riconoscere alla pellicola una storia produttiva abbastanza travagliata a causa del Covid. Anche il periodo non proprio roseo della casa produttrice MGM non ha aiutato, portando il film ad essere girato a cavallo dell’importante fusione con Amazon.
Allontanandoci con difficoltà dal cieco amore che una figura storica del cinema d’azione possa rappresentare, ci si trova ad analizzare un film che oscilla tra luci e ombre. Immutata rimane la fascinazione generata della figura di Stallone, che riesce ad essere sia un ottimo motivo, ma probabilmente anche l’unico, per non perdersi Samaritan. Se siete fan dell’attore, il film è imperdibile.