Sanctuary recensione film di Zachary Wigon con Margaret Qualley e Christopher Abbott
Zachary Wigon è un critico cinematografico americano quasi quarantenne che collabora con diversi magazine. Ma Wigon undici anni fa era approdato alla regia con il suo cortometraggio Il cuore di qualcun altro (2012), base per il suo lungometraggio d’esordio La macchina del cuore (2014) uscito due anni dopo. Quasi dieci anni più tardi dirige Sanctuary, terzo capitolo della sua immaginifica “trilogia dell’amore”. Il cuore, il romanticismo, la storia d’amore dipingevano di rosso vermiglio le prime due pellicole ma che significato ha Sanctuary? Il cuore scompare?
Sanctuary è una safeword tra Rebecca (Margaret Qualley) e Hal (Christopher Abbott) pronunciata quando il gioco di dominazione sessuale supera il limite della sopportazione. Alla maniera di Christian Grey e Anastasia Steele ma senza le cinquanta sfumature di varianti. Rebecca è una dominatrice di professione e il ricco Hal con un’eredità paterna da capogiro è il cliente che paga lautamente la prestazione. Il loro è un rapporto occasionale dietro denaro e Hal, un bell’uomo alto, moro e fisicato, si inginocchia davanti a lei come da copione e si lascia sottomettere. Le regole sono regole. Eppure qualcosa va storto, Rebecca prende il sopravvento sulla sua devozione. E la libertà erotica si trasforma in timore, ossessione, claustrofobia del ricatto.
Hal diventa lo schiavo sessuale di Rebecca, in una camera d’albero lussuosa con le pareti tinte di un rosso acceso (la stanza dei giochi?). Non ci sono manette, frustini, flagellatori, fascette fermacavo e corde. È una stanza ordinaria. Tuttavia Rebecca non è una dominatrice abitudinaria. Rebecca è diversa: prende i soldi, va via, chiude la porta dietro di sé ma torna indietro.
È lì che tutto vacilla, quel passo che supera la soglia della porta innesca la dominazione psicologica (non più fisica) e gli altarini vengono fuori: i segreti, le perversioni sessuali sopite, il terrore di essere stato filmato, la paura furibonda di un video a luci rosse che circola in rete pena la stessa carriera lavorativa. E Sanctuary cambia tono: la relazione si fa più intensa, le parole e le azioni di lei continuano a soggiogarlo e si scoprono le carte. Non c’è un attimo di pausa. Rebecca e Hal si ritrovano faccia a faccia, occhi dentro occhi, la macchina da presa inquadra i primi piani dei loro cambiamenti umorali inframmezzati da sequenze di colore vivo che separano i capitoli del loro morboso rapporto. E la safeword?
La tolleranza è al limite. Il masochismo adesso se ne sta a braccia conserte. Il legame sadico si annulla. Lo scontro tra i sessi si conclude con un vincitore: sul campo di battaglia chiuso da quattro mura, Hal si arrende a Rebecca. L’uomo è asservito alla donna. Scaltra, competente, con il potere di chi sa ciò che vuole e come ottenerlo, sfodera l’arma vincente: sé stessa, il suo vissuto, la sua condizione sociale e il suo essersi guadagnata un lavoro di tutto rispetto. Sanctuary diventa la safeword dell’amore. Il cuore è (ri)tornato.
Riflessioni moderne miste al turbamento con il fiato sospeso buttano giù le barriere e lasciano il posto ai baci. Sanctuary di Zachary Wigon si è fatto cocchiere dell’anima sentimentale che ha saputo tenere le redini del gioco.