Shiva Baby recensione film di Emma Seligman con Rachel Sennott, Danny Deferrari, Polly Draper, Diana Agron e Fred Melamed
Può una commedia nera diventare uno dei film horror più ansiogeni dell’anno? Sembra aver pensato questo la ventiseienne regista Emma Seligman mentre scriveva e girava il suo film di debutto Shiva Baby, tratto dal suo corto di diploma. Shiva Baby, recentemente arrivato su MUBI, porta in scena ansie ed imbarazzi in una geniale commedia nera.
Danielle (Rachel Sennott), ancora indecisa sulla strada da intraprendere finito il liceo, guadagna soldi come babysitter o almeno questo è quello che pensano i suoi genitori (Polly Draper e Fred Melamed). In realtà, la ragazza ha uno sugar daddy, l’affascinante Max (Danny Deferrari), che si occupa di ogni suo bisogno economico. Un giorno deve partecipare a uno shiva (veglia ebraica per commemorare un parente defunto), con la speranza di non ricevere le solite imbarazzanti domande sulla sua vita da parenti vari. Se non fosse che allo shiva si presentano Max con la moglie Becky (Diana Agron) e la loro bambina di sei mesi che renderanno l’imbarazzo asfissiante. Nel giro di un pomeriggio, in quella casa Danielle cercherà al contempo di sfuggire alle invadenti domande di parenti e amici e di evitare che la sua doppia vita venga scoperta.
Shiva Baby ha il suo cuore nei personaggi e nelle loro interazioni, in particolare in Danielle, interpretata magistralmente da Rachel Sennott che, con l’espressività del volto accentuata da numerosissimi primi piani, riesce a trasmettere tutta l’ansia, la paura e l’imbarazzo che la storia vuole raccontare. In un crescendo di situazioni e personaggi che aggiungono stress e tensione come solo gli horror ben fatti riescono a fare, in questa asfissiante casa, piena di corpi, inizia a mancare sempre di più il respiro, forse in maniera anche troppo eccessiva.
Grazie a una regia molto attenta, in grado di ricreare perfettamente un’atmosfera da horror con la camera a mano sempre vicina ai volti degli attori, Emma Seligman trasforma la casa in un labirinto confusionario in cui perdersi insieme alla protagonista, senza eccedere in virtuosismi. Un’opera girata con un budget ridotto – 225mila dollari – con grandi restrizioni di tempo e disponibilità di attori, ma che la regista bilancia con il suo talento.
Come in un’opera teatrale i personaggi secondari si susseguono uno dopo l’altro, vorticando come in una continua orbita intorno a una sempre più spaesata e confusa Danielle. Una nota dolente può essere considerata la colonna sonora che forse, risultando fin troppo invasiva, accentua a sproposito tutta la tensione e l’ansia che si era andata a creare con le immagini. Tuttavia, la memorabile scena finale, che riassume perfettamente il doppio registro tra horror e commedia, dona sollievo allo spettatore ed eleva sapientemente il film.