Siberia recensione film di Abel Ferrara con Willem Dafoe, Dounia Sichov, Simon McBurney, Cristina Chiriac e Valentina Rozumenko
Voglio vedere se possiamo raffigurare cinematograficamente i sogni, le nostre paure, i nostri rimpianti, la nostalgia. Dovremmo tutti essere parte della comunità e parte di questo modo alternativo di fare film. Non lasciamo che cinque majors decidano cosa il mondo intero debba andare a vedere in sala.
(Abel Ferrara su Siberia)
Nessuna delle cinque majors all’orizzonte, infatti. Il cinema di Abel Ferrara è semisconosciuto a chi non conosce le opere autoriali e si affida solo al mainstream contemporaneo. Per tutti gli amanti del cinema d’autore invece è una manna dal cielo, stavolta coprodotto dalle italiane Vivo Film e RAI Cinema, da Piano e Maze Pictures, distribuito in Italia da Nexo Digital dal 20 agosto dopo aver partecipato alla Berlinale 70.
Ferrara-Dafoe, insieme per la sesta volta. Un’accoppiata che non delude mai, una garanzia per lo spettatore. New Rose Hotel, Go Go Tales, 4:44 Last Day on Earth, Pasolini, Tommaso e l’eccentrico e inaspettato nuovo arrivo: Siberia, un’esperienza surreale e singolare.
Ferrara abbandona la città (l’ultima volta era stato a Roma, nel drammatico Tommaso del 2019) e lo fa con grande maestria isolandosi tra le glaciali terre della Siberia. Desaturate, verdi, Stefano Falivene le fotografa in maniera insolita, spiazzante, dando ulteriore spessore all’intera opera. È una terra familiare ma al contempo estranea, fuori dal normale, che non sembra appartenere al mondo terrestre. Un’altra dimensione allora? È difficile dirlo. Optiamo per il sì e vediamola come la dimensione della psiche dello stesso regista (forse), assegnata a Clint (Willem Dafoe) – uomo solitario che trova rifugio in queste zone remote, portando avanti una vita isolata e monotona. Qualsiasi passante può abbeverarsi e trovare ristoro alla sua locanda. Niente macchine all’orizzonte, figurarsi mezzi di trasporto pubblici. Le slitte trainate dagli husky sono l’unico modo per spostarsi velocemente e avere un contatto con il mondo esterno.
Sembra quasi un saloon da vecchio western, con la rissa o la sparatoria pronta a scoppiare da un momento all’altro. Sembra qualsiasi altra cosa tranne quella che effettivamente è – l’abbiamo detto: quasi senza dubbio un viaggio nell’inconscio che è tanto freddo e remoto quanto quelle terre dell’Est che necessitano di essere attraversate per ritrovare se stessi ed affrontare i mostri del passato.
Una narrativa di questo tipo sembrerebbe quasi impossibile da spoilerare. Non c’è un vero punto di partenza e una vera fine. Lasciarsi andare all’esperienza è l’unico vero modo per godere al meglio del suo messaggio di fondo.
Basta aprire la porta della cantina (o della propria psiche) per ritrovarsi in un altro luogo, in un altro tempo, fatto di sogni, incubi, ricordi, fantasmi che hanno il volto del protagonista perché sangue del proprio sangue, rimorsi, vecchi amori, gravidanze, delusioni, figure genitoriali ormai assenti, figli, concerti metal, amplessi angoscianti, animali parlanti, forse viaggi astrali, paranoie quasi junghiane/freudiane, viaggi onirici o forse solo turbe mentali di un Dafoe che convince con uno sguardo, che da mostra di essere sempre incomparabile ed unico.
Ferrara si concede l’uso di GoPro e droni, qualsiasi mezzo visivo diventa indispensabile per rendere lo spettatore protagonista di questo atipico ed inquientante road movie psicologico, per percorrere assieme a Clint e la sua comitiva di husky, chilometri su chilometri di glaciale tundra che poi diventa asciutta e buia grotta ospitante strane figure quasi boteriane/lynchane e un Dafoe-padre occhialuto, in un campo controcampo con il protagonista (figlio) che mostra ancora una volta la grande versatilità dell’attore statunitense. Uno spiraglio di luce e si può già sentire il sole torrido e il caldo del deserto con tende sciamane ed operazioni chirurgiche, effimero luogo che diviene quasi subito dopo fresca boscaglia canadese.
L’arthouse di Ferrara è un appuntamento imprescindibile, dalle tematiche sicuramente non leggere e forse neanche poi così tanto originali, ma che risulta essere l’intrigante e maturo lavoro di un cineasta che si distacca di netto dai lavori precedenti e soprattutto dal resto delle offerte attuali che il cinema presenta in giro per il mondo.