So cosa hai fatto recensione serie TV di Sara Goodman con Madison Iseman, Bill Heck, Brianne Tju, Ezekiel Goodman, Ashley Moore, Sebastian Amoruso, Fiona Rene, Cassie Beck e Brooke Bloom
Scritto e prodotto da Sara Goodman (già nota per Preacher, Gossip Girl e Outsiders), il mistery thriller So cosa hai fatto, ispirato al romanzo di Lois Duncan del 1973 e rifacimento del cult anni ’90 I Know What You Did Last Summer, si allontana da queste fonti letterarie e cinematografiche e lascia perplessi i più attenti al genere teen horror, sia per contenuti che obiettivi.
Il cartello di benvenuto che vediamo nel teaser della prima stagione racchiude la trama che, con alcune difficoltà, andrà a dispiegarsi nel corso delle puntate. “Congratulation graduate! Every ending is a new beginning”: si tratta di una fine di un ciclo adolescenziale, quello legato al percorso di studi e quindi alla festa dei diplomi e all’inizio di una serie di eventi legati a quell’ultima sera in cui un fatale incidente cambierà inesorabilmente le vite di tutti i protagonisti.
Gli ingredienti ci sono tutti ma la sceneggiatura e le scelte stilistiche non si fondono e non creano quell’armonia e disarmonia propria del genere, si crea piuttosto un distacco e un disagio nel collocare la serie in un genere non ben definito. L’incipit non viene supportato da materiale abbastanza convincente: “Everyone is guilty, nobody is safe” si rivela una frase che dice tutto e non fa vedere nulla. Si mostra una città non così perfetta come appare – le Hawaii fanno da sfondo e creano ancora più distaccamento dal genere – ma piena di segreti come lo sono i personaggi che la popolano: la storia trainante non è sempre ben definita ma, a tratti, sembra fare da sfondo ad altre scelte che aprono parentesi sui misteri di cui sono avvolti i personaggi ma che non vengono trattate con l’obiettivo di aggiungere qualcosa.
E così si vedono adolescenti ribelli perseguitati dall’ombra delle loro stesse azioni e adulti messi sullo stesso piano di quei ragazzi consapevoli e inermi allo stesso tempo. Il confronto adolescente-adulto non viene affrontato ma solo attraversato e lasciato in disparte come i segreti non svelati di una cittadina che sembra annoiare i ragazzi come lo spettatore. L’aspetto orrorifico non è così palpabile (se non per le scene tipiche che ricordano la sorte a cui stanno andando incontro i ragazzi) ed è più riconducibile alla realtà sociale ed emotiva di una generazione spenta e ferma e di una tessuto familiare e antropologico quasi inesistente.
La collaborazione nel cercare di dimenticare e nascondere a se stessi e agli altri un evento che li segnerà più di quello che avrebbero immaginato e pianificato delinea una gioventù non messa a fuoco che confonde se stessi e gli altri. Anche la cooperazione come elemento di unione crea un falso senso di sicurezza e non porta a nulla di creativo o di nuovo: ognuno di loro affronterà personalmente le conseguenze di questo segreto comune (alla fine risulterà l’unica cosa che veramente accomuna questi amici) attraverso le decisioni del misterioso killer che ci ricorda un po’ la fine dei protagonisti di Final Destination piuttosto che riportare alla mente i generi da cui vuole prendere spunto.
Questo alone di mistero ma in realtà povero di suspense influenza il carattere generale della serie: quest’ultima, come i personaggi, nell’intento di nascondere e dimenticare un fatto accaduto, non mette in scena una narrazione tangibile, allontanandosi puntata dopo puntata dall’idea iniziale. So cosa hai fatto è una serie in cui si vede tanto (forse troppo) e non si affronta realmente nulla.