Sola al mio matrimonio recensione film di Marta Bergman con Alina Șerban, Tom Vermeir e Viorica Tudor
Sola al mio matrimonio, presentato al Festival di Cannes del 2018 nella sezione collaterale dell’ACID e passato anche per il Rome Independent Film Festival, è una co-produzione belgo-rumena, primo film di finzione per la regista Marta Bergman.
Protagonista del film è Pamela, una ragazza Rom poco più che adolescente, già madre di una bambina, che lascia il suo paesino in Romania per andare in Belgio da Bruno, un uomo conosciuto su Skype che sarebbe intenzionato a sposarla; il rapporto con Bruno, nonostante le sue fragilità e insicurezze, si evolve positivamente per entrambi; ma la nostalgia dalla figlia lasciata in Romania, soprattutto dopo la morte della nonna che la accudiva, costringerà Pamela a scegliere fra due mondi all’apparenza inconciliabili.
Pamela è interpretata dall’attrice e attivista Alina Șerban, il cui spettacolo I Declare At My Own Risk ha girato i palcoscenici di tutto il mondo; l’attore che presta il volto a Bruno, il belga fiammingo Tom Vermeir, è un chitarrista con un background teatrale. Si segnala anche l’apparizione del grande attore belga Johan Leysen nel ruolo del padre di Bruno.
Sola al mio matrimonio è uno dei molti film legati al Realismo cinematografico che vengono realizzati ogni anno; in questa marea di film stilisticamente e concettualmente molto simili è difficile trovare le perle nascoste; Sola al mio matrimonio, dal canto suo, è un film pienamente nella media, con alcune imperfezioni ma un valore intrinseco indubbio.
La sceneggiatura a otto mani plasma dei personaggi ben caratterizzati e non banali (sarebbe stato molto facile rendere Bruno il solito magnaccia a caccia di romene), ma diventa un po’ frammentaria nella seconda parte del film, quando arriva dalla Romania la bambina di Pamela e compare un paio di volte anche il fantasma della nonna morta; la regia è calibrata, saltuariamente un po’ imprecisa, e con la sua attenzione all’ambiente sociale che circonda i protagonisti e ai dettagli degli abiti e degli appartamenti fa emergere chiaramente il background da documentarista della regista. Le interpretazioni sono efficaci, e la protagonista è stata premiata al RIFF come migliore attrice; la colonna sonora è molto bella, anche se a volte è montata in maniera un po’ inopportuna.
In sintesi, il primo lungometraggio di Marta Bergman – la quale, a dispetto del cognome, non ha nulla a che fare con il maestro svedese – mette in scena un lead female character con cui il pubblico piuttosto facilmente empatizza ed offre uno spaccato interessante e non scontato sulla cultura Rom. Pur non perfetto (La ragazza d’autunno di Balagov partiva da premesse simili ottenendo un risultato di gran lunga più significativo) Sola al mio matrimonio, distribuito da Cineclub Internazionale Distribuzione, risulta sicuramente meritevole di una visione nel periodo del dopo-Oscar, quando i film-eventi si diradano, i blockbuster estivi sono ancora l’orizzonte e le sale cinematografiche lasciano spazio o per commedie poco interessanti o per piccole ma salienti produzioni come questa.
Ludovico