Solos recensione serie TV creata da David Weil con Anne Hathaway, Morgan Freeman, Helen Mirren, Anthony Mackie, Uzo Aduba, Dan Stevens, Nicole Beharie e Constance Wu
Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato la sensazione di sentirci completamente isolati, completamente disancorati dal mondo e dagli altri che ci circondano, incapaci di connetterci gli uni con gli altri. Su queste premesse si basa Solos, serie antologica in sette episodi disponibile su Amazon Prime Video a partire dal 25 giugno. Ideata da David Weil (già showrunner di Hunters), Solos presenta un cast di grandi stelle del cinema: Morgan Freeman, Helen Mirren, Anne Hathaway, Anthony Mackie, Dan Stevens, Uzo Aduba, Nicole Beharie e Constance Wu, tutti al servizio di un progetto interessante e complesso per raccontare le difficoltà dei rapporti umani e della profonda solitudine che, spesso, ci avvolge.
Ogni episodio, della durata di circa trenta minuti, si concentra su un singolo personaggio, il quale porta in scena un monologo, guardando direttamente in camera, a volte accompagnato solo dalla voce di un qualche dispositivo elettronico all’avanguardia. Molti episodi, infatti, sono collocati in un imprecisato futuro post-apocalittico o avvolti da atmosfere sci-fi, come accade per l’episodio di Peg (Helen Mirren), un’anziana donna che si è candidata per una missione spaziale e nella solitudine dell’universo, dialogando con l’AI che controlla la navicella, svela i suoi più intimi pensieri. Leah (Anne Hathaway) lavora a una macchina del tempo nel seminterrato di sua madre, malata terminale di SLA, nel tentativo di mettersi in contatto con la sua futura sé e trovare una cura per la madre. Ma al di là delle nobili intenzioni, si nasconde un dolore acuto e una scioccante verità che potrebbe distruggere la sua vita in quella linea temporale.
Ma non è solo il futuro a presentare momenti di riflessione e a generare ansie e timori: nell’episodio più riuscito e più incisivo di tutti, quello che vede protagonista Constance Wu nel ruolo di Jenny, una giovane donna intrappolata in un matrimonio infelice e desiderosa di avere un bambino, quella che sembra una confessione post-sbornia dopo una disastrosa festa in macchina si trasformerà in una sconvolgente e dolorosa confessione. Constance Wu porta in scena un personaggio dalle numerose sfaccettature e che dalla sincerità disarmante sui suoi più profondi e inconfessabili desideri passa a un pianto disperato, dando vita a un’interpretazione che impedisce allo spettatore di distogliere lo sguardo dal suo volto.
Che Solos sia un’esperimento interessante lo si evince anche dall’episodio dedicato a Nera (Nicole Beharie), isolata in una baita nel pieno di una tempesta e in procinto di partorire. Attraverso espedienti come rumori sinistri, l’ambientazione apparentemente familiare e rassicurante di un luogo come la propria casa e alcune inquadrature ben realizzate, la storia di Nera assume presto i contorni di un racconto horror, in cui il mistero della nascita assume sfumature terrificanti e pone interessanti riflessioni sulla maternità come scelta e desiderio che, se sfida alcune leggi della natura, può portare alla nascita di creature perfette, ma spaventose.
Meno coinvolgente è invece l’interpretazione di Anthony Mackie nel ruolo di Tom, impegnato in una conversazione con un uomo identico a lui e che dovrà prendere il suo posto dopo la sua dipartita. Nonostante sia interessante osservarlo recitare in due ruoli così diversi – uno aggressivo e irascibile, l’altro più pacato – l’episodio non è completamente riuscito, forse anche a causa di una sceneggiatura farraginosa e, in qualche punto, ridondante. Infatti, al di là delle ottime capacità attoriali del cast, Solos rischia di essere a tratti difficile da seguire: non è una serie da binge watching, ma da gustare un episodio per volta, proprio a causa di una sceneggiatura, curata sia da Weil che da Bekka Bowling, che sembrerebbe più adatta a una pièce teatrale. A ciò si aggiunge che nonostante la durata dei monologhi sia più che sufficiente, il minutaggio ridotto a una sola mezz’ora non permette allo spettatore di comprendere appieno la reale situazione in cui si svolge la singola storia, generando così, talvolta, confusione e spaesamento.
Al di là di questi aspetti, Solos è un prodotto molto curato e dal concept interessante, sebbene in parte già visto con Black Mirror, e che permette di esplorare temi affascinanti e complessi, indagando le profondità dell’animo umano e le sue paure.