Sotto le stelle di Parigi recensione film di Claus Drexel con Catherine Frot, Mahamadou Yaffa, Dominique Frot, Jean-Henri Compère e Richna Louvet
Una storia toccante che racconta la solitudine dei clochard, ma non solo, anche degli immigrati. Sotto le stelle di Parigi, il quarto lungometraggio del regista tedesco Claus Drexel, arriva nelle sale italiane distribuito da Officine UBU.
Una notte a Parigi, un bambino di otto anni di nome Suli (Mahamadou Yaffa) che ha perso la madre, vaga per le strade e si imbatte in Christine (Catherine Frot), una barbona che vive sotto un ponte, abbandonata dalla famiglia e dagli amici. Sono due solitudini che si incontrano. La donna decide di aiutare il piccolo a ritrovare la mamma, abbattendo quel muro di indifferenza che ha verso il mondo intero.
Claus Drexel aveva già parlato del mondo dei senzatetto in Au bord du monde (2013), ma in questa sua ultima opera si concentra principalmente sulla solitudine dei clochard, abituati a dormire al freddo e al gelo, emarginati dalle persone, costretti a elemosinare per poter mettere qualcosa sotto i denti. Catherine Frot veste i panni di Christine, una senzatetto che si ritrova a dormire sotto un ponte, allontanata da amici e parenti. L’incontro con Suli la porterà ad aprirsi verso l’esterno, permettendole di vedere quello che si era persa fino a quel momento. Anche in quest’opera il regista cerca di restituire nel miglior modo possibile quell’autenticità che permette allo spettatore di addentrarsi in un argomento che conosce poco. Gli immigrati e i senzatetto sono degli outsider, coloro che vengono ancora tutt’oggi discriminati dalla società: Drexel racconta la storia di due solitudini che si incontrano, la cui frequentazione sarà utile per entrambi.
Attraverso il loro girovagare per le strade di Parigi, Catherine e Suli si imbattono in diversi personaggi che mostrano un certo stupore nel vederli insieme. Fanno tenerezza perché è l’incontro di due anime smarrite e abbandonate, emarginate da una società in grado di non capire i loro problemi, ma capaci solo di puntare il dito contro. Per certi versi l’opera di Drexel ci ricorda, seppur con notevoli differenze, Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki in cui il protagonista, un lustrascarpe che vive con la moglie in quartiere di periferia di Le Havre, si prende cura di un ragazzino africano immigrato illegalmente.
La macchina da presa segue il cammino che i due protagonisti compiono all’interno della metropoli francese. Il personaggio di Christine viene tratteggiato con poche semplici informazioni riguardo il suo passato: è una scienziata che si è ritrovata come molti clochard ad abbandonare le sue abitudini per vivere sulla strada, non sappiamo i reali motivi che l’hanno spinta a farlo, ma sappiamo che la sua solitudine l’ha portata a isolarsi dal resto del mondo.
Catherine Frot, vincitrice di un César per Marguerite (2015) di Xavier Giannoli, si cala perfettamente nei panni di Christine, conferendole quella drammaticità utile a farci capire il dolore che prova, si può dire che sia uno dei ruoli più belli da lei interpretati negli ultimi anni. Grande merito va anche a Mahamadou Yaffa, qui al suo esordio come attore, che si cimenta in un personaggio con cui è difficile non empatizzare, soprattutto in un periodo in cui il tema dell’immigrazione è fortemente attuale.
Sotto le stelle di Parigi è una favola in grado di toccare il cuore dello spettatore, dove si mette a nudo l’unione tra due solitudini che si incontrano, in grado di abbattere qualsiasi barriera culturale. Augurandoci di poter vivere al più presto in un mondo senza pregiudizi e più sereno verso l’inclusione sociale.