Squatter – Get In recensione film di Olivier Abbou con Adama Niane, Stéphane Caillard, Paul Hamy e Hubert Delattre disponibile in streaming su Netflix
Da sempre affascinata dai film tratti da storie vere, vederli permette di identificarsi nei personaggi, nelle loro vite o nei loro problemi, creando più facilmente quell’empatia che a volte, a causa dell’esagerata anima fiction delle pellicole, è praticamente impossibile sentire. Questo è l’effetto che Squatter, film francese scritto e diretto da Olivier Abbou nel 2019 e disponibile su Netflix, crea nello spettatore fin dalle inquadrature iniziali.
Tutto sembra vero e reale fin dall’inizio. Le immagini di una famiglia felice in vacanza al mare si susseguono senza lasciar presagire la drammaticità della vicenda realmente accaduta a una coppia della tranquilla cittadina di Port Leucate nel 2013. Abbou è rimasto talmente colpito dal fatto di cronaca da voler trasformare lo stesso in un film, ovviamente modificando l’evolversi e la fine della triste vicenda e adattandola a un pubblico amante del thriller psicologico.
La famiglia Diallo, composta da Paul (Adama Niane), Chloé (Stéphane Caillard) e il loro bambino, al ritorno dalle loro vacanze estive ritrova la loro casa occupata dalla coppia di amici ai quali l’avevano temporaneamente prestata come appoggio per superare un periodo economico difficile. Vano è il timido tentativo da parte dei giovani coniugi di far riflettere gli amici a liberare e restituire la loro abitazione, i quali tuttavia fanno subito capire ai Diallo di non aver nessuna intenzione di andarsene. Dopo essersi appellati alla polizia e a diversi avvocati, a Paul e Chloé non rimane che occupare il loro bellissimo giardino con lo stesso camper con cui sono andati in vacanza e che ora si trasforma nella loro nuova casa.
Fin qui la vicenda, abbastanza frequente nella realtà, sembra assomigliare alla banale occupazione di una casa da parte di inquilini che, non avendo altro modo di pagare un affitto, si appropriano di uno spazio che non è il loro. Il regista francese è molto bravo a passare da situazioni kafkiane, in cui la coppia sembra intrappolata nel vortice legislativo che paradossalmente non è dalla loro parte, a toni ben più cupi e tesi, tipici del genere thriller psicologico.
La virata alla tensione emotiva si raggiunge quando Paul, uomo mite e riflessivo, si fa convincere dal ex compagno della moglie Mickey (Paul Hamy), il proprietario del camping dove hanno dormito le prime notti, ad architettare un piano più vendicativo e del tutto irrazionale per cacciare i loro ormai ex amici. L’ingenuo professore, toccato nell’orgoglio dalla compagna che lo taccia di essere poco virile nel gestire la situazione, si fa trascinare in un mondo a lui del tutto nascosto fatto di eccessi, droga e vendetta.
La situazione degenera in un finale violento ed eccessivo, quasi a ricordare le spietate aggressioni dei protagonisti mascherati di Arancia Meccanica, in cui lo psicopatico Mickey tenta di risolvere a modo suo lo sgombero dell’abitazione dei Diallo.
Numerose le riflessioni rivolte allo spettatore che il regista inserisce nella trama, quali il paradosso della legge che spesso invece di tutelare fa l’esatto contrario e la frustrazione che ne deriva, l’antitesi tra Paul, l’intellettuale razionale, e Mickey, il rozzo senza regole, l’inutilità della vendetta che genera solo un vortice di odio inutile e fine a se stesso.
Come direbbe Gandhi, occhio per occhio e il mondo diventa cieco.