Star Wars: L’ascesa di Skywalker recensione del film di J. J. Abrams con Daisy Ridley, Adam Driver, John Boyega, Oscar Isaac, Domhnall Gleeson, Naomi Ackie, Ian McDiarmid e Billy Dee Williams
Non era una padre qualunque, era il padre, con tutto ciò che c’è da odiare in un padre e tutto ciò che c’è da amare, scriveva Philip Roth all’interno di un suo romanzo.
Quando papà George Lucas ha affidato ad altri la sua creatura prediletta, ha dato loro non soltanto la proprietà intellettuale di un franchise sterminato ma anche tutte le enormi responsabilità del caso.
Papà Lucas ha infatti plasmato un Universo Espanso, ha tradotto gli archetipi epici in chiave fantasy con assoluta mastria ed ha influenzato il pubblico mondiale come pochi altri artisti. Ma babbo Lucas ha anche provveduto ad erigere un paragone praticamente insormontabile per chiunque volesse metter mano senza di lui a Star Wars, una spada di Damocle da togliere il fiato. Non UN padre, ma IL padre tanto amorevole quanto detestabile.
Vivere all’ombra di una leggenda può essere frustrante – si era visto con Il risveglio della Forza e Gli ultimi Jedi – ma una volta presa coscienza del proprio potenziale si può finalmente brillare di luce propria, come fa Star Wars: L’ascesa di Skywalker nel suo lungo e toccante discorso di commiato dalla saga. J.J. Abrams riprende le redini del comando e porta l’ultimo capitolo della nuova trilogia nel solco immaginifico tracciato dal padre Lucas, trascinato da un impianto visivo brillante e potentissimo.
L’arco dei personaggi legati alla “casata” Skywalker, dei quali abbiamo iniziato a interessarci nel 1977 senza mai più fermarci, volge al termine facendo i conti con tutti i punti di forza e le criticità emerse in questi ultimi cinque anni senza aver paura di inerpicarsi in sentieri cosparsi di pezzi di vetro. La chiusura di quasi tutte le parentesi aperte avviene con risultati che oscillano tra il colpo di genio e la forzatura per disparate esigenze (marketing, narrazioni pregresse, etc) ma l’ultimo capitolo della trilogia non si risparmia nemmeno per un attimo, nemmeno dove forse avrebbe dovuto – vedansi spiragli e ganci ad eventuali stand-alone e spin-off.
Paradossalmente, però, l’occasione che presenta quest’ultimo capitolo è ghiottissima. La resa dei conti, tanto nella realtà quanto nella costruzione narrativa, con un passato che continua a tormentare l’equilibrio della Forza è il momento perfetto per scrollarsi di dosso eredità, detriti e rapporti e cominciare a pensare a cosa viene dopo.
É il tempo della ricerca del nuovo padre da amare e odiare, capace di comprendere che la traiettoria Skywalker è stata finora la manifestazione più fulgida di una particolare narrazione della vita, per fare sì che la filosofia di Star Wars possa superare i limiti del franchise e trovare il nuovo prescelto capace di affascinare milioni di persone.