Stranger Things 4 Volume 2 recensione serie TV di Matt e Ross Duffer con Winona Ryder, Millie Bobby Brown, David Harbour, Joe Keery, Gaten Matarazzo, Sadie Sink, Joseph Quinn e Jamie Campbell Bower
Sapevo che da morto sarei stato più apprezzato.
(David Harbour in Stranger Things 4 Volume 2)
SPOILER ALERT – Raramente nella storia della serialità moderna c’è stata un’attesa maggiore che per il Volume 2 di Stranger Things 4, con l’opera dei fratelli Duffer alla sua stagione dei record come TV show in lingua inglese più visto di sempre su Netflix, dietro soltanto al fenomeno globale in lingua coreana Squid Game.
La quarta stagione di Stranger Things ha avuto il portentoso merito di rinnovare ed espandere la mitologia originaria del caposaldo della piattaforma streaming, che nell’epopea fantascientifica di Undici (Millie Bobby Brown) e compagni si è identificata nella sua missione di cambiare il modo di guardare la televisione.
Era il 2016, erano altri tempi per l’innovazione di cui si faceva portatrice il panorama streaming rispetto all’era odierna della peak redundancy, era il tempo di House of Cards e Stranger Things per il servizio SVOD di Reed Hastings destinato a diventare colosso dell’intrattenimento prima, major hollywoodiana poi.
Dopo una brutta seconda stagione piegata dallo stanco e non più ispirato reiterare dei medesimi temi e situazioni iniziali, e una terza stagione aggrappata alla nostalgia e alla dilatazione delle vicende che portano ad un emozionante gran finale, Stranger Things 4 è riuscito a rimettere la narrazione, i personaggi e i generi al centro dell’opera, con un solido recupero delle atmosfere e degli stilemi horror e dei risvolti paranormali che ha rafforzato la mitologia originale elevando l’opera a livelli di profondità e complessità, sia narrativa che visiva, mai raggiunti prima.
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Non più solo il fenomeno paranormale incontrollabile Undici, il sopravvissuto esorcizzato e in bilico tra i mondi Will (Noah Schnapp), il babysitter dal cuore d’oro Steve (Joe Keery) e lo strepitoso erede spirituale dei Goonies Dustin (Gaten Matarazzo), ma anche o forse soprattutto Vecna (Jamie Campbell Bower), un villain spaventoso creato dalla malvagità dell’uomo e dal cui sguardo oscuro nessuno è al sicuro, pronto ad ergersi a nuova icona del male al pari delle sue reference Freddy Krueger e Pinhead, all’interno di una coerenza narrativa assolutamente apprezzabile e forza propulsiva per un’opera più matura, vigorosa, drammatica ed ispirata nel valorizzarsi e rinvigorire la propria mitologia.
Visti gli ambiziosissimi propositi ed il culmine della tensione raggiunto dal Volume 1, era dunque onestamente impensabile aspettarsi un epilogo così deludente, che disperde quanto di eccellente costruito fino a poco prima per rientrare nei ranghi di un prodotto di comfort per adolescenti, con personaggi amati e collaudati e dinamiche familiari indissolubili, che smette di osare compiendo tre salti mortali all’indietro alla linea di partenza, a quel teen drama generazionale che in fondo i nostalgici fratelli Duffer e Netflix concepiscono e coccolano così com’è sempre stato, senza bisogno alcuno di stravolgimenti.
Al di là delle frottole messe in giro nelle scorse settimane da autori e cast in stile Marvel sul body count e sull’estrema drammaticità degli eventi che ci attendeva, quello che più colpisce in negativo è come Volume 2 perda del tutto la sua componente orrorifica rappresentando personaggi, creature e situazioni horror che tuttavia non suscitano mai una reale e potenziale situazione di pericolo per i protagonisti, è come se dopo il culmine di Volume 1 la narrazione venga improvvisamente appiattita ed edulcorata rinnegando le sue evidentemente false premesse e promesse.
Quattro ore circa di eventi che mostrano come il culmine della tensione che doveva arrivare sia invece ormai lasciato alle spalle, con lo scontro fatidico tra Undici e Vecna che trova soltanto una mezz’ora scarsa di spazio tutt’altro che memorabile sia dal punto di vista emozionale che visivo e coreografico, oltre che inconcludente dal punto di vista narrativo, mentre gli autori sembrano essere quasi più interessati a continuare a stressare le allusioni sulla sessualità di Will – è davvero così necessario? – perdendo tra l’altro l’occasione della profondità emotiva di un confronto con il fratello Jonathan (Charlie Heaton), soltanto alluso come in una buona serie generazionale che si rispetti alla Dawson’s Creek, sempre pronta a rinviare al prossimo episodio se non fosse che Capeside non stava per essere divorata dal male come Hawkins.
Il legame viscerale tra Vecna, il Sottosopra e il Mind Flayer, alla base dell’intera mitologia dell’opera, sembra non meritare più di una manciata di secondi in quattro ore, mentre ai Duffer preme riempire il più possibile la narrazione dilatando gli eventi “russi” di Hopper (David Harbour) e Joyce (Winona Ryder) con risvolti più o meno improbabili ed incongruenti e quelli del progetto “Nina”, anch’essi in realtà giunti al culmine in Volume 1.
Nel contesto di una serie che più e più volte ha spinto sulle note dell’emozione e dell’intensa commozione, tra sequenze ormai memorabili, momenti musicali cult e grande coinvolgimento, dispiace constatare come Volume 2 si dimostri così sottotono rispetto al passato, con il momento migliore che veniamo a sapere non essere addirittura originariamente previsto a copione bensì improvvisato da Caleb McLaughlin, alias Lucas, che con il suo straziante “Erica, aiuto!” si immedesima nella tragica situazione di pericolo di Max (Sadie Sink) meglio degli stessi autori, attraverso un grido irrazionale di aiuto che meglio non potrebbe mostrare la reale sofferenza del suo personaggio.
Anche la sospirata, in qualche modo attesa morte del brillante character Eddie Munson (Joseph Quinn) perde purtroppo il suo momentum, stressata a più riprese da una narrazione che anticipa più volte il destino di Eddie a tal punto da svuotarne il pathos, a differenza del destino di Max che, seppur alla fine del suo personale ciclo narrativo, viene salvata e ripescata per la prossima, ultima stagione.
Stranger Things 4 Volume 2 non delude perché depotenzia alcuni personaggi (Mike, Will, Jonathan) o non dà il giusto spessore ad altri (Vecna, Robin), bensì perché vive di attese tradite, limitandosi a guardare ed omaggiare i generi senza volerne tuttavia fare parte, “toccando ma non gustando, gustando ma non inghiottendo“, dedicando più spazio al lungo commiato finale ai suoi protagonisti in attesa della quinta stagione che non alla deflagrazione della sua stessa mitologia, rinviando tutto ad un futuro che, sulla falsariga dei ritorni alla It – Capitolo due, da oggi appare meno promettente e un po’ più amaro.