Suk Suk recensione film di Ray Yeung con Tai Bo, Ben Yuen, Patra Au, Lo Chun-yip, Kong To, Lam Yiu-sing, Wong Hiu-yee, Zheng, Lau Ting-kwan e Shmily
Anche da anziani… anche dopo che i nostri genitori e partner sono morti e i nostri figli sono diventati grandi… non possiamo essere noi stessi. Ecco perché sono qui oggi a parlare per nostro conto, e a chiedervi una casa di riposo per cittadini anziani gay.
(Shmily in Suk Suk)
Sugli schermi del Far East Film Festival ci sono tanti film ricchi di premi vinti in diversi festival in giro per il mondo nell’ultimo anno, e in questo caso due dei vincitori risultano essere Tai Bo come miglior attore protagonista agli Hong Kong Film Awards e Patra Au come migliore attrice non protagonista, riconoscimenti che dovrebbero in teoria far presagire allo spettatore la qualità dell’interpretazione alla quale sta per assistere, e difatti non resterà deluso; perché se c’è una cosa che funziona alla grande in Suk Suk è proprio il realismo di tutti i suoi interpreti.
Ray Yeung pone i protagonisti in un contesto urbano che è quello della città di Hong Kong, che a prima vista non la si considererebbe del tutto aperta al tema LGBT, e così è difatti, ma che nel suo piccolo lotta per raggiungere certi standard che nel resto del mondo sono ormai la prassi o quasi.
È dunque questa la storia d’amore tra due settantenni: Pak (Tai Bo), tassista ormai prossimo alla pensione e Hoi (Ben Yuen), già pensionato e che passa le sue giornate nel parco che farà da sfondo all’inizio della conoscenza tra i due, che ben presto sfocerà in una storia d’amore segreta contrassegnata da tanti problemi.
D’altronde i due vivono da sempre una vita da eteri dichiarati e hanno famiglie a carico che non dubitano assolutamente della loro sessualità, e se da un lato Pak è amato dai proprio familiari, Hoi ha invece dovuto allevare da solo il figlio Wan (Lo Chun-yip), cristiano, burbero e pieno di giudizi negativi nei confronti del padre.
Quando Hoi non è impegnato a partecipare alle riunioni sociali per la nascita di una casa di cura per anziani gay e Pak non ha impegni familiari (quali matrimoni, cene in famiglia o clienti da portare in diversi luoghi) i due organizzano pranzi e uscite, durante le quali devono apparire come due amici qualunque, poiché non è facile esternare la verità che li accomuna, e gli unici luoghi d’incontro dove stare in totale intimità sono le terme per gay dove possono finalmente darsi l’uno all’altro quasi fossero due giovani amanti.
Non è una sceneggiatura originale quella che Yeung presenta, è bensì ispirata al libro Oral Histories of Older Gay Men in Hong Kong del sociologo Travis Kong, ma è forse una delle prime volte se non la prima volta in assoluto che viene presentata una storia d’amore LGBT tra due “suk suk” (zio), il termine usato in patria per descrivere gli uomini più anziani.
La regia è semplice, la fotografia realistica e misurata, e il risultato finale è una tenerezza di fondo che non scade nel politically correct, né vuole fare chissà quale discorso sulla società di Hong Kong, la quale appare a tratti consenziente e al tempo stesso chiusa nei confronti dei diritti civili per la comunità LGBT, comunità che però cerca di farsi sentire e trovare il suo spazio, soprattutto nel discorso d’apertura all’articolo, che Dior (uno degli anziani che combatte per l’apertura della casa di cura per gay) avrà il coraggio di portare in quella che sembra una sala consiliare.
Tuttavia è una pellicola che si basa forse troppo sui suoi stessi interpreti, perdendo di mordente dopo quasi un’ora di visione, e che cerca in qualche modo di fare una piccola retorica sulla religione cristiana che non è del tutto chiara.
Per completare la visione ci sentiamo di consigliarvi un altro film a tema gay del panorama del cinema di Hong Kong, il vincitore per la miglior regia al Festival di Venezia del 1997:
Happy Together del maestro Wong Kar-wai, conosciuto soprattutto per gli apprezzatissimi capolavori Chunking Express, Fallen Angels e In the Mood for Love, amatissimi anche dal cineasta americano Quentin Tarantino.