Sull’isola di Bergman recensione film di Mia Hansen-Løve con Vicky Krieps, Tim Roth, Mia Wasikowska, Anders Danielsen Li e Hampus Nordenson
Una storia d’amore tra Chris (Vicky Krieps) e Tony (Tim Roth), due cineasti che trascorrono l’estate sull’isola di Fårö, residenza del noto regista svedese Ingmar Bergman, per scrivere una sceneggiatura. È questo Sull’isola di Bergman nella sua essenzialità, presentato alla 74esima edizione del Festival di Cannes.
Non è di certo l’unico film, esordio in lingua inglese di Mia Hansen-Løve, a rendere omaggio a uno dei più importanti registi della storia del cinema. Sono state tante le pellicole – e recentemente anche una serie tv – che hanno proiettato la grande arte cinematografica di Ingmar Bergman. Eppure, Sull’isola di Bergman si intrufola di soppiatto per parlare di cinema svedese ancora una volta.
Tanti sono i riferimenti alla filmografia corposa del regista, tanti i discorsi filosofici sui suoi nove figli avuti da sei donne diverse, tanto lo stupore di (ri)scoprire e (ri)sentire le diverse sensazioni che suscitano le sue opere e tanta è la tristezza che si prova dopo la loro visione. Tanta è anche la voglia di rifugiarsi in un’isola di pace dove ha vissuto Bergman per cercare l’ispirazione per una nuova sceneggiatura. E funziona davvero, nella sua messinscena costruita ad hoc con il linguaggio metacinematografico che scrive con una stilografica i loro script.
Sì, perché Chris valica il confine della finzione e si sovrappone al suo personaggio inventato Amy (Mia Wasikowska), come in Persona del 1966, e Tony trova conforto nelle sue idee scritte nero su bianco che non rivela nemmeno alla compagna. Un contorno tipico di Scene da un matrimonio, forte di un rapporto d’amore che dura da anni, con una figlia che adorano e con qualche crepa che tende a ricucirsi.
Resiste il cinema in Sull’isola di Bergman, vive in un monosala con un posto riservato e intoccabile perché quello è il posto di Ingmar Bergman, sopravvive nella scrittura e nei suoi personaggi, nella storia di Amy che è da sempre innamorata di Joseph (Anders Danielsen Lie), nel segreto nascosto dietro a schizzi abbozzati sul quaderno rosso di Tony. C’è voglia di urlare al mondo che il cinema non è scomparso, che il passato florido del regista svedese può e deve essere ripreso nella sua poetica per tracciare una linea continua fino ai giorni nostri senza avere paura. C’è la costante ricerca di un qualcosa che possa colmare il vuoto che sceglie come habitat preferito il cuore.
C’è quella voglia di essere qualcun altro, di rispecchiarsi nella doppia persona per vivere secondo ragione. Per ritrovarsi, tuttavia, catapultati in un cinema che tasta con mano ferma la cinepresa per smascherare la finzione della messinscena.
Sull’isola di Bergman è il cinema classico che percorre la vita di tutti i giorni, riprendendo storie e personaggi di ordinaria routine che discutono tanto, si confrontano, si vogliono bene, azzardano un sorriso che aggiusterà le cose, dietro l’occhio attento della cinepresa.