Quanto si è scritto e detto sul remake di Suspiria di Dario Argento? Molto, forse troppo. Finalmente arriva in anteprima alla Mostra la rivisitazione di Luca Guadagnino, ritenuto dai più uno dei registi di punta del cinema italiano, soprattutto in seguito alla consacrazione con Chiamami col tuo nome.
Una scelta non facile la sua, perché l’originale è diventato negli anni un vero e proprio cult e ha, a suo modo, cambiato le regole del genere horror con un’attenzione sempre più marcata all’aspetto formale e alle coreografiche sequenze di morte. Guadagnino sceglie volontariamente di discostarsene, di rendere più personale questa versione, operando una serie di cambiamenti non indifferenti.
Prima di tutto l’ambientazione, che si sposta da Friburgo a Berlino, con tanto di cornice storico-politica ad effetto (per la verità piuttosto appiccicata). Rispetto al film di Argento, il remake di Guadagnino mette subito le cose in chiaro, svelando la natura del collegio docente della scuola di danza e lavorando più sulla creazione dell’atmosfera che non sulla suspense. Infine, il regista di Io sono l’amore amplia il numero dei personaggi e la durata, suddivide la narrazione in 6 capitoli più un epilogo e si concentra sulle tematiche che hanno contraddistinto il suo modo di fare cinema.
Tutto positivo, sulla carta. Qualcuno vi dirà che il suo non vuole essere un horror (e allora perché intitolarlo Suspiria?); qualcuno apprezzerà le numerose sequenze visionarie, che però non hanno mai il coraggio di sbattere in faccia allo spettatore la vera violenza (non solo dell’originale ma del genere tout court); qualcuno ne apprezzerà il gusto cinefilo, con rimandi a Fassbinder e ad altri grandi autori. Spogliato di questi vezzi, Suspiria è semplicemente un film pretenzioso, sgangherato e irritante.
Le lunghe sequenze di danza, la presentazione dei personaggi e la sostanziale vacuità della prima ora sono un tratto distintivo di un regista che utilizza il cinema per mostrarsi (e non per mostrare). Più che in passato, talvolta riesce, almeno a livello stilistico, a creare momenti di qualità, ma sono irrilevanti all’interno di un caleidoscopio di immagini disconnesse, visioni vagamente trash e una generale confusione tra psicoanalisi, magia ed esoterismo.
Sicuramente il nuovo Suspiria è un film che pone al centro il ruolo della donna e che parla più di amore che di morte. Ma, in generale, prevale la sensazione della non necessità di questa operazione che, anche post visione, appare più di marketing che di reale omaggio. Recuperatevi il cult di Dario Argento.
Sergio