Taormina Film Festival Day 4: Peter Greenaway riceve il Taormina Arte Award e tiene la masterclass. Amazing Grace e Cruel Peter proiettati al Teatro Antico
A cura di Tonino Cafeo
La quarta giornata del 65o Taormina Film Fest ha reso evidente la vocazione della rassegna siciliana a dare spazio a tutti i generi e a tutte le idee sul cinema.
La consueta serata di proiezioni al Teatro Antico ha offerto al pubblico una accanto all’altra due opere totalmente diverse, accomunate quasi esclusivamente dalla passione per ogni possibilità espressiva di questo medium.
La prima è stata Amazing Grace, un documentario diretto e prodotto da Alan Elliott, che narra le due serate memorabili del gennaio 1972 in cui Aretha Franklin ha registrato il leggendario omonimo doppio album nella chiesa missionaria battista del Nuovo Tempio a Los Angeles, passato alla storia come il “disco del vangelo più venduto della storia.”
Il film ha avuto una storia produttiva lunga e tormentata. Commissionato a Sidney Pollack, la sua realizzazione fu ostacolata da errori e problemi tecnici – uno fra tutti la registrazione a velocità diverse di suoni e immagini – e interrotta con una perdita di 25.000 dollari. Solo 47 anni dopo il progetto è stato ripreso e completato da Elliott per essere presentato fuori concorso alla sessantanovesima edizione della Berlinale.
Di tutt’altro genere la seconda proiezione della serata: il thriller Cruel Peter, singolare ghost story scritta e diretta dal messinese Christian Bisceglia. Un filmmaker che ha attraversato tutti i generi, dalle videoinstallazioni alla commedia brillante, e che in questo lavoro propone un’immagine della sua città inusuale, dai toni freddi e gotici, per raccontare una storia di misteri e fantasmi ambientata fra il cimitero monumentale e una villa sui colli che sovrastano Messina, che si svolge fra i giorni del disastroso terremoto del 1908 e la contemporaneità.
A proposito di esplorazione di ogni possibilità espressiva del cinema, pochi registi la incarnano come l’ospite d’onore di questa giornata taorminese. Il Taormina Arte Award della giornata è stato infatti assegnato a Peter Greenaway. Il cineasta gallese, autore – fra l’altro – di opere come Il ventre dell’architetto, I racconti del cuscino e L’ultima tempesta, ha dialogato, stimolato dalle domande di Silvia Bizio, con gli studenti e il suo pubblico nella ormai abituale masterclass che si è svolta nella sala A del Palacongressi.
Fin dalle prime battute è stato chiaro che a Greenaway non interessano i formalismi quanto parlare di cinema fuori da schemi e ruoli precostituiti. Ha ricordato il fascino del paesaggio italiano (e siciliano), la pittura di Rembrandt e il cinema di Eisenstein come fonti primarie della propria ispirazione. “Nei miei primi film muovevo pochissimo la macchina da presa: i quadri in genere sono fermi”, ha sottolineato.
Parlare con Peter Greenaway è come entrare in contatto con un genio rinascimentale. Le domande delle ragazze e dei ragazzi presenti in platea hanno toccato i più disparati argomenti: storia dell’arte, teatro, storia civile e politica, filosofia. “Ogni individuo che abita il nostro pianeta, voi compresi”, ha riflettuto il regista, “è stato concepito da due persone che sono andate a letto insieme e un giorno morirà. Il sesso e la morte sono dunque le uniche esperienze davvero universali. Eros e Thanatos, come dicevano i greci antichi, riguardano tutti, poi ci sono le singole esperienze individuali.”
Per questa ragione l’intera filmografia di Greenaway è dominata da questi due elementi. “Il mio prossimo film” ha annunciato “parlerà di un uomo sugli ottant’anni alla ricerca di un modo felice di morire. Lo gireremo a Lucca e ci sarà Morgan Freeman.” “L’educazione sessuale”, ha proseguito, “ha reso scontati molti discorsi sull’eros ed io sono troppo vecchio oramai per occuparmene. Mi chiedo invece se esista un modo sereno per morire e insieme a Morgan cercheremo di trovare una risposta a questa domanda.”
Ma quali strumenti espressivi sono più efficaci per affrontare al cinema domande cosi grandi? Qui la riflessione di Greenaway ha toccato l’antica questione del rapporto fra scrittura e immagine. “Anche se non è troppo usuale nel cinema di oggi, preferisco scrivere da me le sceneggiature. Del resto, c’è un solo sceneggiatore con cui vorrei lavorare: William Shakespeare” ha affermato. E in tutto questo, gli attori? Greenaway preferisce gli inglesi agli americani. “Gli inglesi vengono quasi tutti dal teatro. Sono abituati a leggere e interpretare battute anche di dieci minuti, a differenza degli americani. Il teatro è una scuola fondamentale per chi lavora con me.”
Tonino Cafeo