Tapirulàn recensione film di e con Claudia Gerini, Claudia Vismara, Stefano Pesce, Maurizio Lombardi, Corrado Fortuna, Daniela Virgilio e Lia Grieco
Le aspettative verso Tapirulàn erano moderatamente buone, le nuove uscite cinematografiche sembravano confermare la tendenza e la voglia di cambiamento delle produzioni italiane che provano a scostarsi dai dettami più classici di una qualsiasi commedia degli equivoci, che negli anni precedenti ha invaso i cinema italiani, verso un ritrovato cinema di genere. Pellicole quali Freaks Out, Diabolik, Veloce come il vento, Il primo re, per dirne alcune, nonostante tutti i difetti del caso, lasciavano presagire un buon futuro per il cinema prodotto in Italia. Quindi, al momento della visione, la sensazione è stata quella di stare per assistere ad un’opera che sapesse esplorare le sfaccettature e i problemi cardine della popolazione, grazie ad una sceneggiatura ambientata quasi interamente in un luogo unico, come altri film analoghi – seppur così lontani, ahimè – avevano saputo abilmente fare, Locke e Carnage per citarne un paio.
Tapirulàn vede l’esordio alla regia di Claudia Gerini, in veste anche di attrice protagonista, che per l’occasione percorre centinaia di chilometri sopra ad un tapis roulant ipertecnologico, dal quale si interfaccia con diversi personaggi che si susseguiranno nel corso della narrazione.
Emma è una counselor, una moderna versione dello psicoterapeuta che aiuta i suoi clienti, in videochiamata, attraverso uno display montato a bordo del suo tapis roulant. Le sue giornate passano interamente all’interno del suo appartamento, correndo incessantemente su quella macchina, dal quale cercherà di risolvere i più disparati problemi che i suoi clienti le presentano in videochiamata. La sua metodica routine verrà spezzata quando la sorella che non vede da ventisei anni deciderà di iniziare una videochiamata con lei.
La metafora alla base della pellicola è franca, voler trasmettere il senso di incompiutezza, dipingere una persona che non riesce a uscire dal pantano in cui si trova, inviluppata perché troppo intenta a correre a vuoto. Il tapis roulant permette perfettamente di restituire la sensazione di immobilità, nonostante la cinetica continua a cui assistiamo, e in questo senso l’incipit risulta essere molto interessante, purtroppo però a lungo andare la bella metafora di fondo viene sostituita piuttosto da un senso di incompiutezza della storia in sé, che sembrerebbe girare a vuoto senza sapere dove voler andare.
Il continuo palleggiare tra un cliente e l’altro poteva essere un escamotage interessante per affrontare i più disparati temi, a partire dalla depressione finendo con la violenza in casa, passando per rabbia, depressione, accettazione del lutto e mancanza di autostima, tutte problematiche che mai come oggi risultano attuali e all’ordine del giorno. Purtroppo, la sceneggiatura non riesce a tenere il passo con la gravosità del carico che vorrebbe portare, scegliendo di improntare un tono drammatico che però diventa quasi retorico nella banalità delle sue linee di dialogo. Temi così delicati vengono trattati con una superficialità disarmante, portando a risoluzioni decisamente troppo frettolose e inverosimili. Il cast di comprimari, che vede la partecipazione di Claudia Vismara, Stefano Pesce, Maurizio Lombardi, Corrado Fortuna, Alessandro Bisegna, non riesce ad essere sempre convincente, portando in scena interpretazioni talvolta caricaturali e sopra le righe.
La stessa Claudia Gerini non riesce purtroppo a tenere sulle spalle il peso di un intero film che si suppone avrebbe dovuto esser basato sulla sua interpretazione, considerato il plot e la location, nonostante la sua prova sia più che sufficiente e la sua interpretazione visibilmente sentita.
Anche in ambito tecnico Tapirulàn presenta alcune criticità: l’esordio alla regia dell’attrice romana non è uno di quelli da ricordare, le inquadrature sono abbastanza scolastiche e talvolta poco ispirate, continui dettagli dell’appartamento vorrebbero restituire il senso di incompiutezza – Emma non sa ancora scegliere di che colore dipingere l’appartamento, le sue cose sono ancora inscatolate e il suo sguardo è continuamente rivolto verso il parchetto sotto al suo appartamento, quasi come una meta che si è autoimposta di non raggiungere. Se queste intuizioni registiche possono risultare efficaci nel primo atto del film per tratteggiare la personalità e le criticità della protagonista, a lungo andare risultano ridondanti e poco interessanti. Perfino il momento di maggiore impegno emotivo risulterà un colpo sparato a salve, causa la mancata costruzione climatica che sarebbe dovuta avvenire per tutti i minuti precedenti alla fatidica rivelazione.