The Burnt Orange Heresy recensione del film di Giuseppe Capotondi con Claes Bang, Elizabeth Debicki, Mick Jagger e Donald Sutherland
The Burnt Orange Heresy chiude la 76. Mostra di Venezia. È il secondo film di Giuseppe Capotondi, che proprio al Lido aveva esordito nel 2009 portando La doppia ora con Ksenia Rappoport e Filippo Timi. Capotondi è un fiero alfiere di un cinema di genere classico, che riesce a mettere in scena sfrondandolo da pesantezza e con una macchina da presa invisibile asservita al racconto e agli attori.
Il film viene dal libro che in Italia venne pubblicato come Il quadro eretico di Charles Willeford, ma che giustamente recupera il titolo originale (più evocativo e aderente alla trama). Peccato che Capotondi non abbia imparato niente dagli errori della sua opera prima: la messa in scena è sinuosa, questa volta con un occhio al mercato internazionale – è recitato in inglese – e tutta la prima parte ha quel sapore hitchcockiano rimodellato che costruisce una buona atmosfera giocando sullo sguardi, le allusioni, il non detto.
Ma il thriller, specie il giallo a sorpresa, è un genere infido, se non sei padrone assoluto della trama e delle sue svolte ti mette nel sacco. E come era successo con La doppia ora, anche con The Burnt Orange Heresy siamo dalle parti della montagna che partorisce un topolino: la trama monta così come montano gli inganni e i giochi di specchi, ma il finale avrebbe dovuto essere più sottile e sorprendente per giustificare tutto un film che costruisce l’attesa del colpo di scena. Invece qui ogni fiamma si spegne, e tutto si smonta con svolte prevedibilissime e una delusione cocente.
Se si gioca con lo spettatore si deve anche essere onesti e non barare (a meno che non sei Alfred Hitchcock): Capotondi ha ambizioni altissime ma non tiene le redini di un racconto che gli sfugge di mano. Ed è un peccato, perché le suggestioni sul discorso arte e vita, verità e finzione (che ritornano, per l’ennesima volta, in una Mostra che mette in fila film che vogliono riflettere sul tema) non sono messe a caso, e Donald Sutherland è efficacissimo.
Non c’è due senza tre?
Gianlorenzo