The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono recensione film di Viggo Mortensen con Vicky Krieps, Viggo Mortensen, Solly McLeod e Garret Dillahunt [RoFF19]
Viggo Mortensen torna dietro la macchina da presa, questa volta per dirigere un western (oltre che per scriverlo ed interpretarlo).
La pellicola, ambientata a San Francisco, è incentrata sulle vicende della franco-canadese Vivienne Le Coudy (Vicky Krieps) e dell’immigrato danese Holger Olsen (Viggo Mortensen) tra i quali nasce una storia d’amore che verrà messa a dura prova, sia dalle scelte di lui che da quello che ne potrebbe comportare.
In una delle primissime sequenze assistiamo alla morte della stessa Vivienne. La morte, così come la violenza, continuano a pervadere il film nella sequenza che precede il titolo, la quale sarà quasi speculare a quella che anticipa i titoli di coda, come se il concetto stesso della morte facesse da cornice a tutto il film.
Il regista sottolinea fin da subito quanto sia centrale la figura di Vivienne, e più in generale quella della donna, nella narrazione. Tuttavia, questo ruolo si colloca in un contesto di società maschilista, dove la protagonista si trova in una posizione minoritaria.
Ben presto ci accorgiamo che il personaggio della Krieps è praticamente l’unico di sesso femminile ad apparire sullo schermo, se escludiamo qualche piccolissima comparsa tra le quali figurano l’attrice che impersona lei da piccola, e due modelli per lei fondamentali: la madre ed il personaggio di Giovanna D’Arco, che apre letteralmente la pellicola.
Sebbene Mortensen, che cura anche la colonna sonora, adotti uno stile di regia molto classico, a rendere atipico questo western è la struttura del racconto, che si dipana su ben quattro piani narrativi: alle vicende dei due amanti si alternano dei flashforward successivi alla morte della protagonista, dei flashback di lei da bambina e delle scene oniriche in cui la stessa Vivienne entra in contatto con il suo idolo, la sopracitata Giovanna D’Arco.
È interessante come per Mortensen, alla dipartita della figura femminile corrisponda la fine del mondo per come lo conosce il protagonista. A quel punto per il regista non c’è più molto da raccontare e, mentre la narrazione preferisce ripiegarsi sul passato, quello che resta del presente sembra un mondo pallido, senza uno scopo.
Così, una storia di due immigrati che cercano di farsi spazio in una società tanto accogliente quanto vigliaccamente ostile lascia il posto a quella di due migranti, un uomo ed un bambino, che abbandonano il nido tanto agognato per vagare senza una non specificata meta: è in queste scene che la pellicola sembra assumere dei toni quasi post apocalittici, rievocando per situazioni oltre che per l’esplicita presenza di Mortensen, il bel The Road di John Hillcoat. Dopotutto, l’emigrazione e l’immigrazione sono concetti che appaiono cari al regista statunitense, cresciuto in Argentina ma di origini danesi da parte di padre, le quali non a caso condivide con il personaggio che interpreta.
The Dead Don’t Hurt è tanto una storia di emancipazione quanto uno spaccato dell’America nata nel sangue e nella sopraffazione. Dal punto di vista tecnico, la messa in scena non si abbandona a particolari guizzi di regia, ma riesce a regalare delle immagini suggestive, con un certo gusto per i movimenti di macchina lenti e per campi lunghi più o meno sconfinati, che ben si sposano con il genere in questione.
Sebbene parta con le migliori intenzioni, il film sembra a tratti incespicare in un ritmo un po’ troppo compassato, complice anche una durata forse eccessiva per quello che la pellicola si prefigge di raccontare. Tuttavia riesce a riprendersi con un bello showdown tanto classico e diretto quanto funzionale alla narrazione e al contesto.