The Disciple recensione film di Chaitanya Tamhane con Aditya Modak, Arun Dravid, Sumitra Bhave e Kiran Yadnyopavit
In Concorso alla 77° edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia è stato presentato The Disciple, lungometraggio scritto e diretto da Chaitanya Tamhane. Il cuore di questo film indiano è la musica a cui il giovane protagonista Sharad è assolutamente devoto.
In particolar modo egli studia la musica classica dell’India settentrionale, considerata “una strada verso il divino” che richiede un determinato modus vivendi per essere suonata e cantata nel modo più giusto. Il suo anziano maestro lo sprona ogni giorno a migliorare per raggiungere livelli più alti, ma Sharad sacrifica tutto il resto, fin da bambino, quando invece di andare a giocare con gli amici, il padre lo trattiene a suonare e cantare con lui in casa.
La sua vita corre veloce tra un esercizio vocale e l’altro, sedute di meditazione ed esibizioni pubbliche, a discapito di relazioni sentimentali e amicizie che Sharad mette in secondo piano. Anche quando la sua salute comincia a risentire di questo eccessivo annientamento in nome della musica, egli persevera come se fosse l’unico modo che conosce per vivere.
The Disciple è sicuramente uno di quei film che permette di conoscere meglio una cultura lontana, esplorando usi e costumi. Tamhane sceglie una narrazione lenta come i ben noti ritmi di vita orientali, ma si resta quasi ipnotizzati dal suono del sitar che è il vero protagonista del film. Sulla melodia di base i protagonisti intonano varie frasi cantate giocando con fiato e voce.
Tuttavia la parte iniziale fatica ad ingranare con il racconto, passando da un concerto all’altro senza preoccuparsi di far entrare lo spettatore nella storia. Lo schema risulta ripetitivo per un film di una durata eccessiva che poteva essere più asciugato per non perdere potenza fino alla fine.
The Disciple è una storia di disciplina, di passione, ma anche un esempio di tenacia e perseveranza. Sharad è determinato a diventare un professionista e ci prova con tutto se stesso. Il film è diviso in due parti: la prima sul “discepolo” giovane e servizievole, la seconda sul “discepolo” adulto che insegna a sua volta in una scuola, ma è ancora alla ricerca di una perfezione che forse non gli è mai appartenuta.
Tutta quella fatica e della dedizione sono servite a qualcosa o lo hanno solo reso solo come il suo maestro? Solo nel finale il personaggio si risveglia come da un incantesimo e decide di voltare pagina per iniziare un nuovo capitolo della sua vita, in cui c’è posto finalmente per una famiglia.
La regia è abbastanza canonica, ma ogni tanto regala soluzioni interessanti, come le pause slow motion in cui Sharad viaggia in moto mentre fuori campo ascolta gli insegnamenti per affrontare la musica classica indiana nel modo giusto.