The Elevator: la recensione del film di Massimo Coglitore con James Parks, Caroline Goodall, Burt Young, Sara Lazzaro, Katie McGovern, Niccolò Senni
Nel 2013 un comunicato stampa della Lupin Film, comunicava che il film di debutto del regista messinese Massimo Coglitore era in fase di post-produzione. Si parlava di un thriller psicologico low budget con un cast internazionale ambientato quasi interamente in un ascensore della città di New York, che effettivamente avrebbe fatto la sua comparsa ad un lontanissimo Taormina Film Fest. Una premessa stuzzicante, ma se è vero che certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano, da lì probabilmente è cominciata una diaspora distributiva che solamente quest’anno ha fatto approdare in patria un film curioso.
A partire dalla scelta degli interpreti principali, ovvero James Parks (un passato di valore sotto la direzione di Quentin Tarantino) e Caroline Goodall (vi dice niente Moira Darling-Banning nel film Hook?), attori con una certa esperienza e un discreto carisma. Il loro compito è costruire su un set claustrofobico e una sceneggiatura molto serrata l’atmosfera di un thriller psicologico degno di nota. Nasce un gioco di lento svelamento delle motivazioni e dei pensieri dei due protagonisti alle prese con una sorta di quiz da cui dipende la vita e la morte.
Concentrandosi quasi unicamente sull’interno dell’ascensore ed eliminando fattori di disturbo nella composizione dell’immagine, The Elevator è in sostanza un dramma fatto di silenzi, sguardi e tensione che nasce dalla costruzione. Per chi guarda non rimane che cercare di desumere di volta in volta la verità man mano che ci vengono forniti maggiori elementi di valutazione. La vera protagonista, infatti, è la violenza che si perpetra progressivamente per arrivare a scoprire come davvero siano andate le cose, inseguendo continue misdirection in funzione di un colpo di scena finale.
Il regista siciliano ha preso spunto dalla cronaca reale per metter su l’intero film, ma bisogna riconoscere che la narrazione procede spesso a singhiozzo, non garantendo quella sufficiente claustrofobia che una sceneggiatura del genere avrebbe richiesto. Se il focus rimane perennemente su James Parks e su Caroline Goodall, è anche vero che tutto il resto diventa accessorio risultando anche ampiamente prevedibile.
Con poco margine di errore, è molto probabile che il film risenta dell’odissea che lo ha portato sul grande schermo e dell’inevitabile budget contenuto in fase di produzione. Al cinema infatti arriva infatti un prodotto che sa già di superato, soprattutto tecnicamente, nonostante abbia un’idea di fondo con molte potenzialità inespresse.