The End We Start From recensione film di Mahalia Belo con Jodie Comer, Katherine Waterston, Benedict Cumberbatch e Mark Strong [RoFF18]
Se dovessimo definire gli ultimi vent’anni da un punto di vista tematico, potremmo nitidamente identificare due costanti: la femminilità e l’inquinamento.
Due questioni di primaria importanza che sono emerse con prepotenza per rivendicare una necessaria presa di coscienza da parte della precedente società, caratterizzata da patriarcato e spreco.
Unico comune denominatore? Il capitalismo.
I roboanti ritmi raggiunti dalla produzione di massa nel novecento hanno acuito all’inverosimile le precarietà dell’ecosistema terrestre e ora, al netto di chi preferisce chiudere gli occhi davanti all’evidenza, siamo di fronte alle tragiche conseguenze di quella condotta. Sul fronte del femminismo stiamo viviamo un momento di profonda metamorfosi della sensibilità generale sul tema ma, allo stesso tempo, alcuni problematiche persistenti non vengono percepite come tali.
Con The End We Start From, Mahalia Belo manifesta una massiccia dose di coraggio, accettando la dialettica femminista tipica del mercato contemporaneo, mettendo però in chiaro un sottile ma significativo punto di distacco.
Partiamo dal principio: la protagonista, ovvero la sempre magnifica Jodie Comer, si trova nella sua graziosa dimora londinese, nella quale sta attendendo felicemente l’arrivo del suo bambino, ancora nella pancia. A pochi minuti dal parto, un diluvio in pieno stile britannico, sfocia in una feroce inondazione.
Inizia una sequenza tanto conturbante quanto affascinante, con la Comer che entra in travaglio in perfetta coincidenza con la penetrazione dell’acqua nella sua abitazione. Attimi di panico e poi la gioia in ospedale, dove la madre abbraccia il neonato e ritrova il marito.
La conquista di una nuova vita, tuttavia, si accompagna alla perdita della propria casa, oltre alla necessità di recarsi fuori Londra, per evitare di ritrovarsi sommersi dall’acqua. Questi i presupposti che culminano in un avvincente road movie dalle tinte inevitabilmente femminili. Sarà un punto preciso del film, tuttavia, a renderne profondamente originale il messaggio.
Se l’incedere della trama, per gran parte della pellicola, pare suggerire la consueta e cieca apologia del girl power, il film decide invece di virare con decisione fornendo un’alternativa piuttosto sorprendente, considerando l’attuale periodo storico.
È evidente quanto sia importante fornire delle icone femminili che manifestino la libertà di emanciparsi dalla presenza del maschile, ma, allo stesso tempo, appare altrettanto prezioso ribadire come un rapporto equilibrato, caratterizzato da un reciproco rispetto, possa donare massicce dosi di soddisfazione e felicità, dalle quali può essere legittimamente difficile rinunciare.
La protagonista, difatti, si ritroverà sola con il proprio bambino a desiderare con ogni cellula del proprio corpo di ritrovare il compagno, anche a costo di mettere in pericolo la vita propria e del figlio. Anche una volta raggiunta l’agognata salvezza, il personaggio della Comer non potrà mentire a sé stessa: la necessità di evitare qualsiasi rimorso nei confronti della mancata ricerca del marito, spingerà la donna a rifiutare qualsiasi traccia di razionalità, per nutrire quello stesso lato irrazionale che ne sancì l’unione con il compagno disperso.
Insomma, una donna che ha bisogno di un uomo. Una frase che difficilmente avremmo pensato di scrivere parlando di un film uscito nel 2023.
Tuttavia, una volta effettuata la disamina di come questa dinamica venga finemente articolata all’interno del tessuto filmico, occorre inevitabilmente accettarla, tanto per il coraggio della proposta, quanto per l’assenza di una possibile interpretazione tossica di questo sviluppo narrativo.