The Fabelmans recensione film di Steven Spielberg con Gabriel LaBelle, Michelle Williams, Paul Dano, Mateo Zoryon Francis-DeFord, Seth Rogen, Judd Hirsch e David Lynch
In una celebre scena de Gli ultimi fuochi Robert De Niro, nei panni di un consumato produttore degli studios, spiega cosa voglia dire fare cinema compiendo un montaggio dal vivo di una scena improvvisata. La sequenza del nichelino ci ricorda che la settima arte non é tanto portatrice di risposte, quanto un generatore di domande per lo spettatore che scaturiscono da un montaggio che seleziona, interpola, espunge e incolla fotogrammi ad altri fotogrammi.
Elia Kazan tiene una lezione sul cinema come orizzonte di senso della sua realtà e mezzo espressivo vitale, ma non é l’unico. Ci sono Federico Fellini con Amarcord e 8½, Paolo Sorrentino con É stata la mano di Dio, Martin Scorsese con Hugo Cabret. Ora, finalmente, c’è anche Steven Spielberg con il suo The Fabelmans in questo filone elitario, raccontando le ricadute del cinema nell’arco narrativo di un piccolo ragazzo ebreo sospeso tra lo spirito dionisiaco di una madre alla continua ricerca di sé e l’attitudine apollinea di un padre vittima della sua gentilezza e della sua meticolosità scientifica.
C’è poco da di sindacare e da discutere. Se il creatore di Jurassic Park, E.T. l’extra-terrestre e The Terminal decide di raccontare come il cinema sia capitato nella sua vita, bisogna sistemarsi accanto al Sam Fabelman bambino che proietta nel palmo delle mani il remake della scena del disastro ferroviario de Il più grande spettacolo del mondo e scoprire il backstage della sua magia nell’armadio di una stanza. Un onore più che una fortuna, poter condividere l’editing fatto da un gigante sullo scatolone dei ricordi per mostrare al mondo come da una scintilla divampi l’incendio del suo cinema.
La macchina da presa diventa il dispositivo di controllo della realtà per il tempo concesso dalle bobine a disposizione, ma é alla moviola che si interviene per organizzarla e tentare di sistemarla. Si può decretare la fine di un esile amore, si può incastonare l’emozione di un evento speciale e si può addirittura rovesciare una misera realtà fatta di soprusi e solitudini. Spielberg racconta con ironia e lucidità le luci e le ombre di un potere più grande di lui che ha accolto e nutrito con la sua immaginazione.
É tutto così a fuoco che trovare una falla in The Fabelmans é complicato. Il montaggio della propria vita é qualcosa che trascende il mestiere, la padronanza é viscerale e il risultato tende alla perfezione. Michelle Williams, Paul Dano, Gabriel LaBelle, la scrittura di Tony Kushner, la fotografia di Janusz Kaminski, le musiche di John Williams, tutto concorre a una rappresentazione che evita l’idealizzazione per concentrarsi su quello che é sopravvissuto alla memoria nel bene e nel male.
Qualcuno parlerà di regalo, ma The Fabelmans é la tesi di laurea di un eterno bambino che non può far altro che ricorrere alla moviola per trovare un senso al grande caos di cui siamo attori e testimoni. Massimo dei voti, con lode e dignità di pubblicazione.