The French Dispatch recensione film di Wes Anderson con Benicio Del Toro, Bill Murray, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Owen Wilson e Jeffrey Wright
Anderson non delude ma non impressiona
Sono anni che Wes Anderson non sbaglia davvero un film. Uno dei suoi punti di forza – insieme al suo stile personalissimo e riconoscibili all’istante – è proprio sapersi muovere ad alti livelli senza mai mettere il piede in fallo. Ci sono pellicole più o meno riuscite, ma di recente è stato quasi impossibile bocciare un suo film. Discorso che vale anche per The French Dispatch, epopea a episodi dedicata al mondo del giornalismo rimasta per lungo tempo bloccata dalla pandemia e dallo stop del Festival di Cannes.
Che un autore come Anderson, perennemente affascinato da mestieri in via d’estinzione e dai loro rituali e officianti, s’interessi al giornalismo d’inchiesta, alla vita da reporter e alle riviste vendute in edicola è l’ennesimo, infausto segnale per il comparto. The French Dispatch è una rivista, una redazione affiatata guidata con mano salda da un mecenate oculato ma capriccioso, ma soprattutto l’occasione per tenere insieme quattro cortometraggi che altrimenti avrebbero poco da spartire l’uno con l’altro. Potremmo persino parlare di un film antologico, se non fosse che Anderson è particolarmente bravo a tenere tutto insieme in un discorso se non omogeneo quantomeno congruente.
È la stampa, bellezza
Il film legge per immagini un pugno di articoli scritti da altrettante firme di punta della testata: quelle della sezione arte (Tilda Swinton), politica e poesia (Francis McDormand), esplorazione urbana (Owen Wilson) e enogastronomica (Jeffrey Wright). La storia dentro la storia nasconde a sua volta altre narrazioni (le persone protagoniste delle storie raccontate dagli articoli), fino a utilizzare tutto lo strepitoso cast che contraddistingue ogni produzione andersoniana e fa la gioia di ogni festival che abbia bisogno di rimpolpare un po’ il red carpet.
L’episodio più convincente vede Léa Seydoux fare da musa e guardia carceraria per un detenuto con uno straordinario talento artistico, Benicio Del Toro, quello più claudicante chiude il film e vede il rapimento del figlio di un commissario di polizia. Quello che vede per protagonista Timothée Chalamet conferma l’innamoramento generale di cui l’attore è oggetto, anche grazie a ruoli teneramente indisponenti come questo.
Autore già da tempo maturo, Anderson fa un cinema sempre godibile e ormai un po’ sornione nell’uso (talvolta abuso) di volti noti e amati dal pubblico (o dal regista). Bisogna riconoscergli di saper fornire personaggi che permettono a molti attori solitamente stanziali di uscire dai cliché (ad eccezione di Swinton e Murray, ormai cristallizzati nel loro ruolo andersoniano tipo) e a straordinari caratteristi di seconda fascia di recitare al fianco della A-list di Hollywood, in un film autoriale sì ma il cui autore è sdoganatissimo presso il grande pubblico, persino mainstream.
Un divertissement da cartolina
Il vero dubbio è cosa faccia The French Dispatch per il giornalismo di cui parla come se fosse già una reliquia e che ammanta di una cappa di nostalgica malinconia ma anche cieca a qualsiasi evoluzione e involuzione che il comparto sta vivendo. Un autore dall’acume di Anderson aveva a disposizione uno scaffale pieno di temi importanti connessi allo spunto di The French Dispatch, ambientato in una Francia deliziosa ma idealizzata come certe foto sulle cartoline di un tempo. A differenza di Grand Budapest Hotel (la sua vetta nell’ultimo decennio), Anderson non sembra avere granché da dire oltre a mettere in piedi la solita gradevole (ma ormai un poco sterile) galleria di personaggi bislacchi.
Un regista dalla forma così codificata dovrebbe avere più di altri le mani libere per lavorare ai contenuti del proprio cinema. The French Dispatch invece è poco più di un divertissement, pur prendendosi molto sul serio. Per quanto gradevole, è una visione che non lascia una forte impressione, eccettuati forse alcuni personaggi femminili che fanno brillare le rispettive interpreti.
Wes Anderson non sbaglia mai perché ha una formula a prova d’errore, che alla lunga sta rendendo il suo cinema un poco noioso. The French Dispatch rimane una visione gradevolissima con qualche passaggio graffiante, ma preferiamo chi osa e magari sbaglia spettacolarmente. In questo periodo invece Anderson sta capitalizzando sui decenni precedenti della sua carriera e forse è giusto così. La speranza è che prima o poi gli venga di nuovo voglia di osare.