The Killer recensione film di David Fincher con Michael Fassbender, Tilda Swinton, Charles Parnell, Arliss Howard, Lacey Dover, Monique Ganderton, Suzette Lange, Kellan Rhude, Monika Gossmann, Brandon Morales, Kerry O’Malley e Sala Baker
Chi avrebbe mai potuto immaginare che essere un serial killer fosse così monotono: in The Killer il regista David Fincher mostra come essere un sicario possa diventare logorante. E non perché il tuo lavoro sia uccidere un obiettivo, ma perché i momenti di iato, le sospensioni temporali in cui nulla succede rischiano di stancare la mente e portarti a commettere un imperdonabile errore.
Il killer in questione è interpretato da un impenetrabile Michael Fassbender: impegnato a sorvegliare un obiettivo da eliminare, in una fumosa e dormiente Parigi. Il protagonista commetterà un fatale errore che darà l’avvio a una lunga caccia all’uomo. A distanza di 24 anni da Fight Club (accolto con non pochi fischi), David Fincher torna in concorso al Festival del Cinema di Venezia per presentare la sua (im)personale e glaciale visione su cosa significa essere un killer nel XXI secolo.
Zero empatia e precisione: così Fincher costruisce il suo killer (mancando l’obiettivo)
Tratto dall’omonima graphic novel scritta da Matz (Alexis Nolent) e disegnata da Luc Jacamon, The Killer si spoglia di tutti gli elementi che hanno reso glamour e accattivante la figura del sicario di professione, per mostrarne i lati meno noti: la ripetitività dei gesti, le lunghe ore di attesa, la noia. Non c’è spazio per dubbi o esitazioni nei pensieri del Killer, narrati in voice over dalla monocorde voce di Fassbender. Nessuna empatia, nessuna umanità: il killer raccontato da David Fincher – che torna a collaborare con lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker (Se7en) – non mostra alcuna pietà verso le sue vittime, ma è pronto a dare la caccia al cliente che l’ha ingaggiato, quando i suoi affetti vengono minacciati.
The Killer è un film glaciale come il suo interprete e altrettanto ripetitivo come il mantra che Fassbender è solito pronunciare nella sua mente, prima di ogni uccisione. Pur essendo suddiviso in capitoli, la pellicola di Fincher presenta una struttura ripetitiva: trova il nemico, cerca informazioni, entra nel suo territorio, eliminalo, ricomincia. Una coazione a ripetere che causa una monotonia nel ritmo e che non fa presa sul pubblico.
Benché rispetti alla perfezione la natura del personaggio e tutto – dalla fotografia con la sua palette di colori grigi e freddi, alla colonna sonora, altrettanto monocorde, se non per le hit dei The Smiths – contribuisca a creare una generale impressione di impersonalità e assenza di emozioni, The Killer manca il suo obiettivo e implode su se stesso in un finale che si rivela frettoloso e asettico. Privo di tensione e incapace di comunicare con il suo pubblico, The Killer resta godibile, certamente, ma altrettanto anonimo e dimenticabile. Più dei cappellini da turista tedesco indossati da Michael Fassbender.