The Lighthouse recensione film di Robert Eggers con Robert Pattinson, Willem Dafoe, Valeriia Karaman e Logan Hawkes scritto da Robert e Max Eggers
Con un quasi puro 4:3 in 35mm ed un’afasia crescente disturbata solo dalla singola nota del nautofono del faro, Robert Eggers, fin dai primi minuti di The Lighthouse, dichiara esplicitamente i suoi intenti: un horror psicologico puro con una fortissima matrice espressionista, un omaggio a Fritz Lang, Friedrich Wilhelm Murnau e Robert Wiene. Il formato cinematografico scelto, la fotografia in bianco e nero, particolari lenti e filtri utilizzati negli anni ’30, concorrono ad un solitario quadro teatrale: primi piani deformanti, con volti tagliati dalla luce, spesso proveniente dal basso al fine d’esaltare le espressioni demoniache ed isteriche dei personaggi.
Già con il suo lungometraggio d’esordio, The Witch, Eggers ridisegna le coordinate dell’horror, partendo sempre dai padri: le influenze di Bergman e di Dreyer, sono evidenti, tanto quanto il riferimento alla storia dell’arte, ad un’atmosfera famigliare semplice e dignitosa che richiama I mangiatori di patate di Van Gogh. Sceneggiato a partire dal romanzo incompiuto di Edgar Allan Poe, dal titolo The Light-House, il lungometraggio di Eggers, ambientato nel 1890 in una misteriosa e remota isola del New England, è un allucinato delirio dell’immaginazione: Ephraim Winslow (Robert Pattinson), è un giovane che giunge sull’isola per lavorare come operatore del faro, sotto la supervisione di Thomas Wake (Willem Dafoe), il guardiano del faro. I giorni passano, tra ostilità e intimi confronti tra i due: tra i pesanti compiti che Wake ordina al ragazzo, dal quale esige fin troppo, si scorgono anche momenti di dialogo, d’apertura, stimolati sia dalla necessità di un interlocutore, con il quale far passare notti e giorni che appaiono infiniti e sia dall’uso abbondante d’alcol che entrambi fanno.
L’elemento che ricorrerà nelle loro conversazioni, che è anche il grumo filosofico centrale del film, è la luce del faro: Wake infatti, non lascia che Winslow si avvicini alla luce; Winslow vive perciò nel desiderio costante di capire che cosa si nasconda lì in cima. Ma cosa rappresenta la luce? Come anticipato, il film vive di una forte componente mitologico-letteraria, la quale struttura le vicende, equiparando i due personaggi rispettivamente a Prometeo e Proteo: il vecchio guardiano protegge la luce del faro dalle insidie del giovane Winslow, il quale vuole acquisire la luce per impadronirsi del suo potere. Essa rappresenta la luce del sapere, della conoscenza, della saggezza conquistata.
Fuor di metafora, la luce del faro è il fuoco che Prometeo ruba agli dei per donarlo all’umanità, in modo che essa possa progredire nella propria civilizzazione; Zeus, di fronte alla trasgressione del titano, lo condanna all’eterno tormento: legato ad una roccia, il suo fegato sarà divorato ogni giorno da un’aquila, riformandosi per essere divorato nuovamente il giorno seguente. L’analogia e l’influenza del mito è tangibile, avvalorata dalla sequenza finale dove, non delle aquile, ma dei gabbiani che popolano l’isola fin dall’inizio, lacerano e inghiottiscono le viscere di Winslow. Una differenza è abissale tra il mito originario e la rivisitazione del film: Prometeo vuole fare un atto d’altruismo, Winslow vuole scoprire e godere egoisticamente della luce.
Una deviazione puramente contemporanea, che attualizza la mitologia greca e la rende fortemente riproponibile oggi. Ma concentriamoci sul rapporto combattente tra i due: chi è il pazzo? Winslow o Wake? Tutto si basa su un fenomeno moderno: il gaslighting, una manipolazione psicologica violenta e subdola, attraverso la quale avviene una rappresentazione di false informazioni con l’intento di spacciarle per vere, provocando, nella fragile mente umana della vittima, una crisi che sconfina nel dubitare della propria memoria e percezione. Chi è in questo caso la vittima? Al principio la vittima sembra Winslow, soggiogato dal guardiano che lo sottomette intasandogli la mente con storie e superstizioni, le quali porteranno il giovane a continue allucinazioni su mostri marini, sirene, teste mozzate e tronchi che galleggiano in mare.
Pur ammettendo che le allucinazioni siano state provocate dalla manipolazione del vecchio, è chiaro che le visioni provengano dall’inconscio e dalle ossessioni del giovane: il sesso e la continua tendenza all’appagamento sessuale (già chiari dal momento in cui Winslow si masturba sulla statuetta), vengono proiettati sul compimento dell’atto sessuale con la sirena; la testa mozzata priva d’occhio è del precedente assistente del guardiano, morto perché divenuto folle; i tronchi che galleggiano, rimandano alla vicenda che il giovane Winslow racconta: l’impossibilità o forse la non volontà di salvare il suo capo boscaiolo, di nome proprio Ephraim Winslow.
Ed ecco il cortocircuito di The Lighthouse, il ribaltarsi drastico e radicale delle prospettive: il giovane assistente è in realtà Thomas Howard, che dopo la morte del suo capo (il vero Ephraim Winslow), ha rubato il suo nome, la sua identità: “Perché hai sputato il tuo rospo, Tommy?”, lo accusa il guardiano. Da ora in poi, sarà il giovane Howard a perseguitare il vecchio, sottomettendolo, facendolo gattonare come un cane al guinzaglio fino alla buca dove lo sotterrerà vivo. Una lotta spietata tra i due personaggi per accaparrarsi la luce: non più rappresentata solo dalla luce greca del sapere, la meta ontologica alla quale nel passato si tendeva, ma una luce che si fonde con quella odierna del potere, della conquista e della sopraffazione.
Ecco un’altra differenza sostanziale rispetto al mito: se per i greci la sapienza è la meta più importante, oggi il potere è l’unica vetta alla quale, in modo inesausto, si tende. Dopo la morte del guardiano, Howard sale su in cima: qui la lente di Fresnel si apre da sola, l’uomo la osserva, la tocca al suo interno e si mette ad urlare; è un urlo sordo che racchiude la consapevolezza di trovarsi finalmente di fronte alla meta e scoprire che la meta sia in realtà il nulla. La luce del potere non sarà in nessun modo chiarificante o illuminante, ma accecante, così tanto da scaraventare il ragazzo giù per le scale.
Eggers ha una capacità fenomenale di rappresentare un mito classico nel nostro presente, non sfigurandolo nella sua essenza più intima, ma adattandolo ai nostri giorni, ai nuovi tormenti, alle nuove trasformazioni ontologiche, ai nuovi modi di percepire il mondo.