The Northman recensione film di Robert Eggers con Alexander Skarsgård, Nicole Kidman, Anya Taylor-Joy, Claes Bang, Ethan Hawke, Willem Dafoe e Björk
Dopo il successo di The Witch e The Lighthouse, Robert Eggers torna in sala con la sua opera più ambiziosa: il colossale The Northman. Al suo fianco in questo progetto troviamo i volti di Alexander Skarsgård, Ethan Hawke, Nicole Kidman, Claes Bang e Björk ma anche vecchi collaboratori del regista come Anya Taylor-Joy e Willem Dafoe.
Nell’ultimo capitolo di questa apparente trilogia folkloristica, Eggers abbandona le coste americane (protagoniste del vernacolare The Witch e del gotico The Lighthouse) per raggiungere quelle scandinave sul sorgere dell’anno Mille, abitate dalle popolazioni norrene. Qui seguiamo le tragiche vicende di Amleth, figlio di un re vichingo ucciso quando era poco più che un bambino. Giurando vendetta, il piccolo scappa in terra straniera, fino a che, molti anni dopo, il destino non lo riporta sulla strada verso il compimento del suo patto. Aggiungere altro potrebbe svelare fin troppo, quindi non ci dilunghiamo oltre riguardo la trama. Tuttavia, possiamo scrivervi senza troppi problemi del forte ritorno del folklore al centro della poetica del regista. Per un appassionato di mitologia norrena, c’è tanto da scavare: dalle continue similitudini con le divinità Vanir e Æsir (le due “famiglie” che costituiscono il pantheon norreno), fino alla più tradizionale ascesa al Valhalla e alla scelta dei meritevoli da parte delle Valchirie. Però è bene notare che, esattamente come nei precedenti due lungometraggi del regista, la parte folkloristica si lega a quella più storica e “fattuale”, gettando un velo di mistero sull’effettiva veridicità di quanto viene mostrato allo spettatore, in un miscuglio di misticismo onirico raggiunto in passato (in ambito norreno) probabilmente solo dal Valhalla Rising di Nicholas Winding Refn. Il film è costantemente piagato dall’opacità della comprensione di quanto accade. Sia il pubblico che i personaggi vagano in questa banchina di nebbia fitta e imperscrutabile, dove realtà e sogno si legano in una danza macabra e cruenta.
Il regista è tornato anche a spingere sulla crudezza delle situazioni, questa volta puntando tutto sulla brutalità fisica, più che mentale (con anche qualche richiamo al cinema sovietico della metà del Novecento, in primis al Tarkovskij di Andrej Rublëv). La pellicola è tinta di rosso, del sangue che sgorga dalle sporche e purulente ferite inflitte durante gli innumerevoli scontri o le furtive incursioni. Lo stile registico di Eggers si fa sentire per tutta la durata della pellicola, pur andandosi (in parte) a discostare da quanto esplorato con i suoi precedenti due film. L’inquietudine di The Witch e l’espressionismo grottesco di The Lighthouse scompaiono quasi totalmente, ma i semi piantati da questi ultimi germogliano anche in alcune sequenze di The Northman. Forse visivamente il più audace e, al contempo, il più canonico tra i tre (perché cerca di fare molto più di quanto il budget potesse permettere, riuscendoci per la maggior parte), qui siamo di fronte a un attacco da parte del regista al mercato dei blockbuster, andando a posizionarsi nella scomoda posizione che separa il cinema d’autore dal territorio commerciale di massa. C’è un’evidente asincronia tra le due tensioni, che portano a una duplice natura comunicativa: una che tende a parlare al grande pubblico, l’altra che ricerca l’appassionato, il singolo. Questa ambivalenza, sfortunatamente, non sembra mai trovare una vera e propria pace, portando a una costante lotta per la supremazia dell’una o dell’altra visione.
C’è una spinta classicistica che sembra guidare lo sguardo di Eggers. Lo avevamo notato in The Lighthouse, ma in questo caso torna più prepotente che mai, con veri e propri “scontri tra titani”. Questi corpi bestiali (e il modo in cui vengono messi in quadro) richiamano le gigantomachie greche o i gruppi scultorei di Agesandro. Il loro stoicismo è percepito tanto a livello visivo quanto sonoro. Il missaggio del film è brutale in egual misura ai fatti mostrati, prendendoti di forza e catapultandoti all’interno di questo mondo violento, scandito da una colonna sonora assordante, aggressiva, esaltante. Alexander Skarsgård è riuscito a incarnare alla perfezione il ruolo di questa implacabile macchina di morte, mastodontica e bestiale, come anche Claes Bang, che interpreta la sua nemesi. Entrambi sembrano due cani randagi pronti in qualsiasi momento a saltarsi alla gola, ringhiando ferocemente per buona parte della pellicola.
The Northman è un film rumoroso, che volendo poteva rimanere muto, portato avanti solo attraverso latrati animaleschi e feroci grida. Eppure, non solo il film fa molto affidamento sulle parole, ma va anche a “sporcare” la narrazione con la scelta di far recitare gli attori come se stessero declamando Shakespeare. La storia sembra separarsi in due vie parallele: una ambientata nelle più remote terre dell’Europa settentrionale, l’altra naufragata sulle coste danesi dell’Amleto del Bardo. Lo stile narrativo, unito a un forte (e spesso stridente) accento scandinavo, brutalizza ogni tratto particolare della pellicola, così immersa nella cultura norrena da sembrare nata per parlare la lingua dei popoli nordici. Ogni volta che qualcuno si appresta ad aprire la bocca per dire qualcosa, ci si aspetta di sentire una qualsiasi versione di una lingua norrena, per poi accorgerci, nostro malgrado, che si tratta ancora dell’inglese. Data la carriera passata del regista, che è sempre stato estremamente attento all’importanza attribuita al linguaggio e all’accento, sarebbe stato interessante vederlo continuare questa tradizione, visto anche il fatto che al suo fianco al momento della scrittura aveva una “penna” come quella di Sjón, poeta e scrittore islandese, nonché autore di un’altra importante sceneggiatura “nordica”, attualmente in sala, quella di Lamb. Però ci rendiamo conto che stiamo parlando di Hollywood, quindi sembra già un miracolo poter assistere a una produzione così particolare e folle, che consacra ulteriormente Eggers come uno dei cineasti più interessanti degli ultimi anni, capace di trasformare un semplice film di vendetta vichinga in un esplorazione meticolosa ed esoterica della bestialità umana e del suo legame terreno con mondi “altri”, al limite tra mito e realtà.