Un quadrato che rappresenti un santuario di fiducia e altruismo, all’interno del quale tutti condividano uguali diritti e doveri. È questo il proposito di The Square, un’opera che sta per essere inaugurata da un prestigioso museo di arte contemporanea svedese, diretto dall’apparentemente rispettabile Christian. Un punto di partenza per un film stratificato, pieno di sfumature, bulimico nella ricerca di un senso ad alcune importanti domande dei nostri tempi.
Ruben Östlund, dopo aver analizzato il peso della responsabilità individuale in Forza maggiore, dove evidenziava la dicotomia istinto – convenzioni sociali, con The Square alza l’asticella e scende in profondità, non avendo alcun timore di destabilizzare e sfidare il suo spettatore.
Parte da una critica all’arte contemporanea il nuovo lavoro del regista svedese. Un attacco alla mercificazione e alla sostanziale vacuità di alcune opere che acquistano valore solo perché appoggiate dall’intellettuale di turno, pronto a farle entrare nell’empireo artistico con l’utilizzo di un vocabolario tanto forbito quanto vuoto. A questo livello se ne accompagna uno ancora più profondo legato alla concezione della società svedese, nota per il proverbiale approccio politicamente corretto.
Östlund fa emergere invece un ritratto estremamente individualista dell’essere svedesi, contrapponendo alle intenzioni proposte in linea teorica un atteggiamento generale di indifferenza della comunità, in particolare nei confronti delle classi più umili (i mendicanti su tutti). Quello che viene mostrato sullo schermo è l’inizio della fine, una crisi che parte dall’ambito sociale per arrivare alle relazioni interpersonali, sempre più superficiali e piene di nulla.
Per raccontare tutto questo, il regista sceglie una forma molto particolare, lontana da quella più “classica” utilizzata nel suo film precedente. Guardando a visionari quali Leos Carax, Jaco Van Dormael e, ancora prima, Luis Buñuel, Ruben Östlund sceglie la via del grottesco, dell’eccesso e del bizzarro per raccontare attraverso metafore la crisi della (nostra) società.
The Square è un film pieno di scene madre: la performance dell’individuo-bestia alla serata di gala; l’intervista a Christian; il tragicomico amplesso sessuale; la conferenza stampa sui limiti (presunti) della libertà artistica. Il regista svedese non scende a compromessi con il suo pubblico e lo spinge fino ai limiti, portandolo ad amare anche quelle imperfezioni che emergono qui e là nel corso della visione (su tutte la parziale mancanza di giustapposizioni a livello narrativo). Il suo lavoro però è il più delle volte sorprendente, fresco, al di fuori dei binari del già visto.
The Square può essere considerato come una performance maxima che ingloba tutte le altre performance minori dissipate all’interno della narrazione. Un’opera che fonde alla perfezione contenuto e forma. Come non parlare, infatti, dell’elegantissima regia di Östlund che, attraverso una ricerca continua dello spazio e della forma geometrica, riesce sempre a inquadrare gli avvenimenti dalla giusta prospettiva. Elementi che fanno di questo film, meritatamente premiato con la Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, una delle esperienze cinematografiche più insolite di questo 2017.
Sergio