The Stand recensione serie TV di Josh Boone e Benjamin Cavell con Whoopi Goldberg, Alexander Skarsgård, James Marsden, Odessa Young, Amber Heard, Owen Teague, Jovan Adepo, Ezra Miller, Nicholas Lea, Heather Graham e Greg Kinnear
Per l’anno nuovo è previsto un nuovo e tremendo virus da affrontare chiamato Captain Trips. No, non è una fake news di bassa lega ma l’inquietante contesto in cui si sviluppa The Stand, la nuova trasposizione televisiva dell’omonimo romanzo di Stephen King prodotta da CBS All Access e disponibile dal 3 gennaio su StarzPlay.
L’umanità in ginocchio a causa di una pandemia devastante e visivamente più cruda e incisiva di quella che il mondo reale sta affrontando in questo periodo è il camuffamento perfetto per affrontare la dicotomia più antica che riguardo l’uomo. Le difficoltà estreme rivelano la sottile linea d’ombra che separa il bene e il male, mostrando in maniera tutt’altro che netta dove cominci l’uno e finisca l’altro.
Nell’America della serie televisiva di Josh Boone, falcidiata da una superinfluenza creata in laboratorio ma totalmente fuori controllo, i sopravvissuti per grazia genetica hanno processato l’apocalisse e inaugurato un nuovo corso. C’è chi ha ha abbracciato la strada del caos in ogni sua forma seguendo la figura diabolica interpretata da Alexander Skarsgård e chi ha formato una comunità sfruttando macerie, abitazioni e competenze in cui si respira un apparente clima di pace e serenità e in cui hanno trovato il proprio posto i depositari del bene capitanati da James Marsden. L’attore di Westworld e l’interprete di True Blood sono solo due dei tanti volti noti che popolano quest’America post-apocalittica in un cast che punta ad attrarre lo spettatore a suon di volti noti e preziosi cameo (Amber Heard, Whoopi Gooldberg e J.K. Simmons giusto per fare qualche nome).
La presenza di grandi nomi è strettamente correlata alla struttura narrativa della serie che si discosta dall’opera di King. Se la diffusione e lo sterminio provocato dal virus occupano la prima parte del romanzo, in questo caso il centro narrativo è rappresentato dalle traiettorie dei sopravvissuti nel nuovo mondo, attraverso i cui flashback e sogni inquieti nel corso delle puntate vengono rimessi insieme i pezzi che compongono il quadro complessivo di The Stand.
L’impatto della serie, per una tremenda congiuntura astrale, si nutre della triste realtà del COVID-19 stabilendo un interessante parallelo non previsto dal progetto iniziale. La finestra di lancio nel bel mezzo di una pandemia assomiglia grottescamente a quelle campagne di instant marketing che sfruttano il momento per far parlare di sé, con la sottilissima differenza di avere a che fare con una materia talmente pericolosa e incerta in termini produttivi. Può funzionare contestualmente ad una sofferenza di cui si intravede con estrema lentezza la fine? Se si riesce a frenare l’impulso di vedere nel contesto generale il cuore di The Stand, forse si. In caso contrario si rischia di rimanere invischiati in un continuo parallelismo tra realtà e finzione che porta un nullo di fatto e agli echi di un disaster movie.