The Story of My Wife recensione film di Ildikó Enyedi con Léa Seydoux, Gijs Naber, Louis Garrel, Sergio Rubini, Jasmine Trinca, Luna Wedler e Josef Hader
Vecchia Europa, vecchio film
Dopo l’Orso d’Oro vinto a Berlino c’erano grandi aspettative per il nuovo film della regista ungherese Ildikó Enyedi, al suo esordio in lingua inglese in una grande produzione in costume cofinanziata, tra gli altri, anche da Rai Cinema. Invece The Story of My Wife è una cocente delusione, un costume drama ambientato nell’Europa degli anni ’20 (dalla Francia ad Amburgo) che con le sue quasi tre ore ripetitive e senza mordente finirà per annoiare anche quanti amano questo genere di pellicole.
È la premessa stessa del film a rendere poco chiaro quale fosse l’intento della regista di Corpo e anima, quale aspetto volesse esplorare della trama o che contenuti comunicare al pubblico. The Story of My Wife ruota attorno a una femme fatale misteriosa e dagli atteggiamenti talvolta sadici, che sembra voler tormentare il marito capitano di navi cargo, costretto dal lavoro a stare lontano da lei per mesi.
Promesse da marinaio
È la dinamica inconsueta del loro matrimonio a generare lo squilibrio su cui è basato il film: lui fa una proposta di matrimonio a lei pochi minuti dopo averla incontrata, convinto che in qualche modo lo salverà dai lati negativi di una vita solitaria da lupo di mare. Lei accetta la proposta, facendogli capire che si aspetta di mantenere i suoi spazi, le sue amicizie maschili, i suoi segreti. Lui si dice consapevole di non poter pretendere fedeltà da quella che di fatto è una sconosciuta, ma poi passa l’intero film a cercare ossessivamente prova dell’infedeltà di lei, provocando l’infelicità di entrambi. Un presupposto un po’ scarno per costruirci sopra un tira e molla filmico che sembra davvero non avere null’altro da dire.
Léa Seydoux interpreta Lizzy, scelta di cast molto azzeccata: in questo momento la femme fatale per antonomasia del cinema europeo è lei. L’attrice francese interpreta il ruolo di Lizzy con perfetta attitudine e una punta di algido sadismo. Nel cast ci sono anche gli italiani Sergio Rubini e Jasmine Trinca, impegnati in ruolo abbastanza marginali.
Un approccio cinematografico polveroso
Le colpe del film però non vanno ascritte agli attori, quanto a un approccio cinematografico polveroso, che sembra guardare a un orizzonte di valori e a una platea di spettatori scomparsi da molto tempo. Corpo e anima era un film sentimentale delicato ma capace di toccare il pubblico, al contrario The Story of My Wife risulta artificioso e distante, anche nelle sue scene più appassionate.
In un’edizione del Festival di Cannes contraddistinta dalla voglia di osare e da un’attitudine disinibita e discinta per quanto riguarda la sfera sentimentale da parte dei cineasti dentro e fuori il concorso, The Story of My Wife di Ildikó Enyedi sembra semplicemente fuori posto.