The Substance recensione film di Coralie Fargeat con Demi Moore, Margaret Qualley e Dennis Quaid
Hai mai desiderato una versione migliore di te? Più giovane, più bella, più sensuale con le curve perfette e un temperamento determinato (e orrorifico)? È facile: basta assumere The Substance, il prodotto rivoluzionario che cambia la vita di tutti.
C’è solo una condizione da rispettare per mantenere l’equilibrio. La vecchia versione e quella nuova devono dividersi: una settimana l’una e una settimana l’altra. Per sempre. Segui la regola e niente andrà storto. Non è difficile.
Questo è lo spot-messaggio che il secondo film psicologico di Coralie Fargeat (Revenge, 2017) comunica. Presentato in concorso alla 77ª edizione del Festival di Cannes, The Substance sfida le leggi della bellezza ideale, eterea, come se il fascino di una donna fosse continuamente minata alla base: fin dove bisogna spingersi per (ri)prendersi ciò che si è perso? Serve una sostanza iniettata endovena per far uscire la parte migliore di sé stessi?
Tra Cronenberg e Lynch, tra body horror e la mostruosità come chiave di lettura, il film cita con La mosca (1986), eXistenZ (1999), con scorci del recente Crimes of the Future (2022) cronenberghiani e a The Elephant Man (1980) lynchiano, insieme a un’intensità interiore tipica dell’arte scandinava. The Substance inasprisce la critica politica rivolta contro l’altra faccia della medaglia hollywoodiana: un sistema che persegue l’ideale di bellezza perfetta, mostrata in prima serata attraverso esercizi ginnici per richiamare l’attenzione dei più attenti voyeur che vedono oltre la bellezza: il marketing, una macchina gigantesca che deve fare soldi tramite il corpo scolpito di una giovane donna usato per saziare la fame di dominatori seriali.
È ciò che succede a Elizabeth Sparkle (Demi Moore): dapprima osannata e ricercata da chiunque, la stella intarsiata sulla Walk of Fame di Hollywood simbolo di un successo mondiale; poi, troppo vecchia, con gli ascolti in calo e il suo programma sempre più vicino ai riflettori spenti. Le rimane un’unica soluzione per riavere la vita di prima. Ma a tutto c’è un prezzo da pagare, e quello della diva Sparkle sarà molto caro.
La bellezza tanto voluta si trasforma in desiderio di rivalsa, oggettificata e mercificata nel suo essere una ragazza seducente e promettente che non ha intenzione di fermarsi al piccolo ruolo in tv.
La versione migliore di Elizabeth Sparkle – Sue, interpretata da Margaret Qualley ‒ vuole il mondo ai suoi piedi, il corpo intatto senza dover ritornare nella corazza ormai flaccida della diva passata di moda. Tuttavia entrambe le versioni non possono coesistere: una deve vivere, l’altra deve adeguarsi. L’equilibrio si sfalda, come la Hollywood cosmetica apparentemente integra e tanto subdola alla base.
Perché fare tutto questo? Per amore, per ricercare quella sensazione ormai perduta che invece le si è ritorta contro.
Pur con qualche buco narrativo, The Substance si distingue per riflessi kubrickiani, primi piani disturbanti in stile Inland Empire (2006) di David Lynch e sequenze di “aggressione delle immagini” che richiamano il cinema leoniano di Giù la testa (1971). Strizza l’occhio al caso più emblematico del produttore cinematografico che ha scosso l’industria hollywoodiana ‒ non è un caso che il produttore televisivo, affamato di visibilità e denaro, si chiami propri Harvey. Con uno splatter a tratti nauseante ampiamente sfoggiato, The Substance si scaglia contro un’industria economica che non accenna a fare dietro front. Anzi.
Si spinge sempre più in alto, incurante delle donne pedine di un gioco in cui a rimetterci sono sempre loro. The Substance non è solo una rivoluzione del corpo: lo è anche per l’ideale di bellezza preconfezionato a cui contrapporre l’estetica mostruosa. È davvero una sconfitta per l’ex diva? Chi dice che l’essere mostruoso non può essere bello a proprio modo?