The Substance recensione film di Coralie Fargeat con Demi Moore, Margaret Qualley, Dennis Quaid, Ray Liotta, Hugo Diego Garcia e Oscar Lesage
The Substance: l’ossessione per la bellezza dipinta con fiotti di sangue
In un’edizione del Festival di Cannes così asfittica e mogia, così priva di film davvero incisivi, proprio ci voleva in concorso un body horror come The Substance. L’impressione è che fosse una pellicola perfetta per il fuori concorso ma sia stata introdotta nella corsa alla Palma per avere una regista in più, un nome francese in più e scompigliare un po’ le carte. Ottima mossa, signor Fremaux.
Coralie Fargeat è una regista francese al suo secondo film, amante dell’horror splatter, cresciuta a pane, Cronenberg e Lynch. The Substance si rifà proprio al body horror di cui il primo regista è maestro, ma abbandonando la sua brutale raffinatezza per scegliere un sfacciato accostamento tra sederi sodi e mostri deformi che sta più dalle parti di John Waters. È quel genere di horror che funziona perché la trama è riassumibile in due righe, semplice, efficace, anche semplicistica volendo.
La morte ti fa bella, sotto fiotti di sangue
Qualcuno ha creato una sostanza in grado di garantire a chi la assume di godere di una copia più giovane, bella, migliore di sé. Si ordina il kit (che nemmeno si paga?), ci si inietta un liquido verde neon e ci si sveglia nel corpo più bello, sodo, performante. Semplicissimi gli altri paletti da rispettare: il corpo matrice ha il controllo e può porre fine all’esperimento, la coscienza deve passare ogni sette giorni da un corpo all’altro, senza eccezioni. Un corpo rimane inanimato, tenuto in vita da una flebo di nutrienti. L’altro fa quel che gli pare.
Ovviamente nessuna eccezione significa inevitabili trasgressioni e ogni rottura delle regole comporta una punizione. I due corpi sono una persona sola, devono trovare un equilibrio, ma da quel che vediamo è una corsa verso l’inevitabile, reciproca distruzione. Lo scoprirà ben presto Elisabeth Sparkle (una Demi Moore in gran spolvero), attrice over 50 a cui viene tolto il programma di pilates dall’emittente TV per cui lavora. Trattata orribilmente dal perfido produttore TV con cui si relaziona (Dennis Quaid), gettata via come uno straccio vecchio nonostante sia una donna bellissima e in forma, Elizabeth non trova altro modo di reagire che imbarcarsi in un’operazione piena d’incognite come quella d’iniettarsi una sostanza sconosciuta, prodotta da chissà chi, consegnata in un vicoletto sordido di LA via locker stile Amazon.
La sua versione giovane e bella da star male, interpretata da Margaret Qualley (l’attrice più coraggiosa di Hollywood, in termini di scelte di carriera e film), è una forza irresistibile. Il vouyerismo estremo e volgare con cui viene inquadrato il suo corpo in mosse e posizioni provocatrici ci porta poi all’inevitabile conclusione che ci aspettiamo. Elisabeth e Sue sono mostruose e deboli allo stesso modo, perché non riescono a vedere oltre la loro bellezza, assegnandole un valore spropositato, finendo addirittura per sottostimarla, trascurarla. Si lasciano dettare il loro valore da chi le tratta come vacche da mungere in diretta TV.
A lasciare perplessi di The Substance non è il film, quanto il commentario che la critica ci sta ricamando sopra. A chi scrive sembra abbastanza palese come l’obiettivo della sceneggiatrice e regista qui sia divertirsi in una corsa a rotta di collo verso l’eccesso. I venti minuti finali del film sono un continuo rilanciare sfrontatamente: più sangue, più mostruosità, più seni che spuntano da appendici incancrenite, più volti incapaci di urlare, più sangue, tantissimo sangue, ettolitri di sangue.
The Substance punta sulla forma, accontentandosi di una narrazione scarna
Fargeat vuole annegare nell’eccesso, nel gore, nello splatter, nel divertimento per chi ama questo tipo di film estremi (meglio astenersi se particolarmente sensibili). La furiosa discussione in corso sul presunto femminismo o la famigerata misoginia di questo film lascia il tempo che trova, perché The Substance è concentrato tutto sulla forma. Il suo racconto di Hollywood non è né realistico né volto a essere una denuncia, non è nemmeno così importante che le protagoniste siano due donne (vediamo brevemente un altro consumatore della Sostanza, uomo: non sembra messo benissimo nemmeno lui). È una Hollywood volutamente vaga nella sua esagerazione, nel suo essere grottesca, nei colori primari assurdamente brillanti e sempre accoppiati con il proprio complementare, dai vestiti della protagonista agli studios televisivi fino ai gamberetti di un assurdo arancione che si mangiano il produttore.
Il commentario vero è visivo e si limita a una scena – forte, non lo si nega – in cui Demi Moore si mostra nuda, senza ingentilimenti. Certo non ha il corpo della collega più giovane (che palesemente usa protesi ed effetti speciali, perché il livello di perfezione procace di Sue è decisamente artificiale, inumano), ma è un corpo bellissimo. Non per la sua età: bellissimo e punto. La vediamo insoddisfatta del suo fisico fasciato da abiti sexy e la tragedia e il commento stanno tutti lì: insoddisfatta di un corpo strepitoso perché c’è sempre qualcosa o qualcuno di più giovane, più bello.
Essendo The Substance un body horror tutto forma e poca sostanza (ma buona) ci porta a esplorare versioni così mostruose della protagonista da rendere ancor più vibrante la sua trascurata, mortificata bellezza iniziale. Questo è quanto: il resto sono colori vivissimi annaffiati da fiotti di sangue, sederi sodi anch’essi imbrattati di rosso, ketchup che diventa emoglobina, la carne che da soda si fa mostruosa.