The Trainer recensione film di Tony Kaye con Vito Schnabel, Julia Fox, Bella Thorne, Lenny Kravitz e Paris Hilton [RoFF19]
Fare un film è già di per sé una follia. Produrre una pellicola è senza dubbio un processo che molti considererebbero un’impresa da pazzi.
Ma fare un film folle? Probabilmente è ancora più complesso, come dimostrano i molti risultati altalenanti che abbiamo avuto modo di vedere negli anni
L’ultimo a imbarcarsi in questa impresa è Tony Kaye, partendo da un soggetto di Vito Schnabel, un famoso mercante d’arte di New York, che per l’occasione si improvvisa anche attore. Da questo incontro nasce The Trainer, probabilmente uno dei film più sconclusionati, matti e idioti che siano mai riusciti a dare un senso alla follia.
Già la scelta di affidare il ruolo come protagonista all’autore della sceneggiatura, un non attore e volto noto della scena pubblica newyorkese, è un azzardo che pochi avrebbero osato.
Eppure, è proprio questa scommessa a sostenere l’intero film. Schnabel è sensazionale nei panni di un ragazzo intrappolato nel corpo di un adulto. Inizia come un personaggio monodimensionale, ma presto si rivela complesso, molto meno prevedibile di quanto ci si aspetterebbe dal protagonista di una storia così sopra le righe
Le vicende ruotano attorno a Jack Flex, un trentenne con una concezione del mondo tutta sua: loquace, testardo e intrepido. Insomma, una di quelle persone difficili da togliersi dai piedi quando vogliono qualcosa. Ha appena inventato un dispositivo per il potenziamento muscolare, l’Heavy Hat, un copricapo che dovrebbe permettere di scolpire il proprio corpo solo indossandolo.
Come tutti gli inventori, sogna di farne un successo planetario e, quindi, cerca di pubblicizzarlo negli unici luoghi dove una tale “idea” potrebbe avere un qualche seguito: i canali di televendita. A ricontattarlo è nientemeno che la segretaria della RVCA (Julia Fox), una delle più importanti reti di vendita televisiva. Durante l’incontro con i vertici aziendali, lei convince i suoi superiori a credere nell’idea di Jack. Tuttavia, a causa della sua semplicistica visione del mondo, garantisce di avere disponibili per la vendita, entro tre giorni, mille unità dell’Heavy Hat. Al momento ne ha solo uno (e anche parecchio usato).
Ha inizio così una vicenda tragicomica fatta di bugie su bugie, come quelle raccontate da un bambino nel tentativo di evitare i guai, destinate a intrecciarsi fino a intrappolare Flex nella sua stessa spirale di inganni. Le menzogne partono dal ristretto cerchio familiare e arrivano a coinvolgere personaggi come Paris Hilton e Lenny Kravitz, che partecipano a questo ‘gioco’ con una tale dedizione da far quasi credere che non stiano affatto recitando la parte di sé stessi.
Kaye ci racconta questa storia elementare con una regia che giustizia tutte le regole del cinematografico mentre la sperimentazione prende il controllo nella fase di post-produzione. La cura per gli elementi grafici, il testo a schermo e i sottotitoli rendono il film uno spettacolo barocco per gli occhi.
Non c’è mai un secondo in cui lo sguardo non venga stimolato da qualche stramberia, dal momento in cui i nomi dei produttori appaiono sullo schermo fino all’ultimo secondo dei titoli di coda.
Il film vuole tenerci incollati allo schermo, e ci riesce egregiamente.