The World to Come recensione film di Mona Fastvold con Vanessa Kirby, Katherine Waterston, Casey Affleck, Christopher Abbott e Andreea Vasile
In concorso a Venezia 77 è stato presentato The World to Come, il film diretto da Mona Fastvold ispirato all’omonimo romanzo di Jim Shepard che ha adattato la sceneggiatura in collaborazione con Ron Hansen.
Verso la metà del XIX secolo sulla costa orientale americana vivono due coppie, isolate e immerse in un paesaggio rurale. Le donne sono responsabili della casa, mentre i mariti passano tutto il giorno fuori a lavorare per portare avanti la famiglia. Ma quando Tallie (Vanessa Kirby) bussa alla porta di Abigail (Katherine Waterston) la complicità tra le due donne rompe la routine, regalando nuove emozioni e sensazioni a entrambe, in quella realtà retrograda messa alla prova dalle condizioni atmosferiche avverse. Le giornate passano cucinando, lavorando a maglia, stendendo il bucato, e poi incontrandosi furtivamente per dare libero sfogo al sentimento.
Si avverte senza dubbio il tocco femminile alla regia con un’atmosfera da romanzo inglese che custodisce e celebra una calda intensità, dall’inizio alla fine. Ogni inquadratura richiama i colori e la fotografia di un quadro impressionista dai contorni sfocati che fa da sfondo a una storia d’amore e un dramma intimo, allo stesso tempo antico e moderno. Vanessa Kirby e Katherine Waterson, nei panni delle due donne che scoprono gradualmente la passione l’una per l’altra, sono carismatiche e magnetiche. Tra loro si avverte potente l’intesa sulla scena, anche se Kirby conferma un talento maggiore con la sua interpretazione.
Per la controparte maschile Casey Affleck è il marito innamorato e complice che giustifica il comportamento della moglie pur di restare con lei, mentre Christopher Abbott è l’uomo dell’epoca, più legato alle regole e devoto agli schemi sociali prestabiliti, che diventa aggressivo quando scopre le nuove attenzioni della moglie Tallie.
The World to Come si concentra quindi su un amore impossibile e tormentato, ma anche puro e istintivo, raccontato secondo una narrazione diaria con la voce fuori campo del personaggio di Abigail che condivide gli eventi, ma anche il suo sentire, da “radice in un vaso troppo piccolo” alla “gioia e meraviglia” del primo bacio d’amore.
E il pubblico viene coinvolto con un pathos raffinato e un tono delicato, vivendo pienamente quell’attrazione proibita per il periodo storico in cui è ambientata la storia. Lievi accenni di romanticismo e femminismo guidano Fastvold nel comporre un’opera convincente che ammalia, emoziona e commuove con umiltà e cuore. Anche merito di una regia ambiziosa che non ha paura di muovere la cinepresa in modo sinuoso e partecipativo, e di prendersi delle pause sul volto espressivo degli attori coinvolti.