Till – Il coraggio di una madre recensione film di Chinonye Chukwu con Danielle Deadwyler, Jalyn Hall, Frankie Faison, Haley Bennett e Whoopi Goldberg
Ci sono storie che meritano di essere raccontate, devono arrivare al pubblico così da poter scuotere la coscienza umana. Ci sono storie che non sempre travalicano l’oceano, al contrario restano sepolte nelle pieghe della storia come polvere sotto un tappeto. Till – Il coraggio di una madre, porta alla luce una vicenda che non può essere più nascosta.
L’enorme rabbia provocata da questo evento è ancor più grande se riflettiamo sul fatto che le indagini sono state recentemente concluse. Soltanto nel marzo del 2022, infatti, Joe Biden ha firmato la legge che porta il nome del protagonista di questa storia; un brutale atto avvenuto nel 1955 a Money, nel Mississippi, che soltanto ora ha trovato il suo epilogo.
Il film descrive il coraggio di Mamie Carthan Till, madre di Emmett, che fu rapito, brutalizzato e trovato senza vita sul fondo del fiume.
Negli anni 50 l’America era spezzata a metà dall’odio razziale e nelle terre in cui si coltivava ancora il cotone l’idea di supremazia bianca era ben radicata.
Un semplice complimento, un futile motivo sono bastati per privare della vita e della giustizia un ragazzino di soli quattordici anni.
Mamie, derubata del suo unico figlio, durante tutta la sua vita ha fatto in modo che l’America non potesse più voltarsi dall’altra parte. Si è resa conto, a proprie spese, che quando un atto di razzismo colpisce anche solo un uomo di colore automaticamente viene colpita tutta la comunità. Perché il razzismo è subdolo, si insinua dove non lo si può vedere ed emerge ancora oggi in atti eclatanti.
La regista Chinonye Chukwu costruisce il suo film su una base solida: la struttura di un dramma accentuato dalla brutalità che concede alla sua camera. Esattamente come crudeli furono le foto rese pubbliche del cadavere di Emmett, la Chukwu non risparmia la violenza nella sua pellicola, anche se sapientemente bilanciata, trasmettendo forti emozioni allo spettatore.
Vi è intimità nel dolore e nell’orrore portato in scena, quasi con un senso di pudore cercando di rispettare la memoria del povero protagonista. Anche quando la telecamera indugia sulla violenza, come il momento di riconoscimento del cadavere da parte di Mamie, la scena si rivela dolce e materna.
Assistiamo alla sofferenza che solo una madre può provare cercando di trovare una ragione o una giustificazione; ma quando due uomini bianchi sono gli imputati in un processo e la giuria è composta da dodici persone con le medesime caratteristiche razziali, la giustizia viene negata.
La narrazione trova il suo punto di ancoraggio anche nella sceneggiatura, che, con le dovute attenzioni, riesce a caratterizzarsi come un’analisi estremamente attuale. Un atto di denuncia ad un sistema che protegge, tuttora, gli abusi perpetrati nei riguardi degli afroamericani. Frasi, gesti e inquadrature diventano importanti grazie ad in un ritmo preciso e costante.
Alla luce degli eventi, più o meno recenti e contemporanei, diventa emblematica la frase: “non erano solo due uomini con una pistola, quella notte”. Parole dello zio di Mamie che non è stato in grado di difendere suo nipote.
Il razzismo, nell’America di ogni secolo, è sistemico. Till – Il coraggio di una madre è un costante scontro psicologico, soprattutto durante il processo. Inutile dire che, da parte dei tre principali responsabili, non vi fu mai l’ombra del rimorso.
Danielle Deadwyler riesce a dare un’interpretazione perfetta del dolore grazie anche al linguaggio del corpo e la compostezza nelle sue battute. La sua rappresentazione è perfettamente aderente a quella della vera Mamie Till, elemento che gioca a favore nel racconto di questa vicenda.