Torso Killer: confessioni di un assassino recensione docuserie TV Sky Crime+Investigation con Adam Daniel Mezei, Robert Anzilotti e Richard Cottingham
Era come se non provasse nessuna emozione: nessun rimorso, nessuna empatia per la vittima.
(Torso Killer: confessioni di un assassino)
Se ci chiedessero cosa c’è di più spaventoso della violenza potremmo rispondere, senza timore di smentita, la violenza ingiustificata. Se infatti la brutalità e la sete di sangue non possono mai essere legittimate, quando accompagnate da cause scatenanti possono essere, seppur non giustificate, quantomeno capite. Ma come reagire quando la violenza che ci si para davanti non è finalizzata a scopo alcuno? Quando la cattiveria di cui siamo testimoni non trova alcun pretesto, che esuli dal puro desiderio di perpetrarla?
Sono queste alcune delle domande che seguono la visione di questa docuserie in prima TV dal 5 agosto su Crime+investigation, che si pone come obiettivo il racconto del lunghissimo interrogatorio che il detective Robert Anzilotti ha fatto al serial killer e stupratore Richard Cottingham.
Inizialmente arrestato in un hotel del New Jersey, dove aveva cercato di perpetrare violenza ad una prostituta portata lì da New York, Cottingham viene indiziato come responsabile di una lunga serie di delitti atroci, che però non sembra intenzionato a confessare.
La serie si fa forza della testimonianza del detective che ha condotto l’indagine, il già citato Anzilotti, ma anche del procuratore della Contea di Bergen (New Jersey) John Molinelli, della psicologa forense Katherine Ramsland (forse il contributo più interessante) e di svariati familiari delle vittime.
Torso Killer: confessioni di un assassino segue lo spietato profilo psicologico del killer, responsabile di crimini di riprovevole efferatezza, che gli valgono un posto tra gli assassini seriali più crudeli della storia americana.
Il vero interesse di Cottingham non era l’uccisione, da lui considerata un atto necessario alla salvaguardia personale (non doveva essere identificato dalle vittime), ma risiedeva nella tortura della donna che aveva fatto prigioniera, come testimoniano i corpi martoriati frutto del suo diabolico operato. Complementare alla sua vita da criminale, fatta di perversioni sessuali e di voglia di procurare violenza, conduceva una vita da padre di famiglia esemplare, con una moglie (che chiese il divorzio prima dell’arresto) e tre figli, dando vita ad un’insospettabile dicotomia, spesso ricorrente nella vita degli assassini seriali.
Non pensavo sarei mai riuscito a vedere il diavolo nella mia aula.
(Torso Killer: confessioni di un assassino)
L’opera, pur non raggiungendo forse il livello di fluidità e scorrevolezza di altri del genere, riesce a ricostruire gli eventi narrati con sufficiente chiarezza, senza per questo diventare eccessivamente didascalico o lezioso. Riesce a mantenere vivo l’interesse dello spettatore e nel mentre a impartirgli una buona “lezione di storia criminale”, concentrandosi più sulle indagini e sulla lotta per ottenere le confessioni che sugli omicidi in sé.
Dagli episodi emerge il folle desiderio di possesso e controllo, imperante nella contorta mente di Richard Cottingham e principale movente delle sue nefandezze.
Accanto a tutto ciò emerge anche il coraggio, la dedizione e il sacrificio della polizia nel lottare per estorcere confessioni dall’uomo e restituire un parziale senso di pace alle famiglie delle vittime. Una lotta faticosa che cerca di lasciar scivolare il naturale, ma inutile desiderio di vendetta, e che si fa invece carico dell’inestinguibile diritto alla giustizia.
La docuserie è realizzata con un’ottima qualità ed è abbastanza ricca di contenuti da poter essere considerata più che valida, rivolta ad un pubblico appassionato di criminologia e psicologia criminale che non potrà fare a meno di apprezzare il crudo realismo con cui viene raccontata la storia di uno dei serial killer che ha seminato il terrore nell’America tra gli anni ‘60 e ’70.