Trifole - Le radici dimenticate

Trifole – Le radici dimenticate recensione film di Gabriele Fabbro

Trifole – Le radici dimenticate recensione film di Gabriele Fabbro con Umberto Orsini, Ydalie Turk e Margherita Buy 

di Marika Tassone

Trifole - Le radici dimenticate di Gabriele Fabbro (Credits: Officine UBU)
Trifole – Le radici dimenticate di Gabriele Fabbro (Credits: Officine UBU)

Le radici dimenticate sono quelle che ci portiamo dentro. Non le dimentichiamo mai, anzi, cerchiamo di appiattirle sotto terra per fare in modo che niente possa riportare il passato alla luce. Ma non sarà invece lì il tesoro che stiamo tanto cercando?

TrifoleLe radici dimenticate seconda opera del regista Gabriele Fabbro, scritto con l’attrice protagonista Ydalie Turk, sfrutta nella maniera più intelligente possibile la tradizione del tartufo d’Alba (la trifola in dialetto piemontese) per raccontare un viaggio profondo, che scava nel sottosuolo dell’anima con la speranza di ritrovare l’azzurro del cielo. Una seconda opera che anche stavolta riscuote l’approvazione della critica nazionale, staccandosi completamente dal genere thriller del già apprezzato The Grand Bolero (2021).

Non è facile trovare casa del nonno Igor (Umberto Orsini), che vive da solo con il suo cagnolino Birba su una collina nei pressi di Alba. Lui non sa che sta per ricevere una visita inaspettata. Ma quella di Dalia, più che una visita, è una vera e propria missione. La giovane londinese senza prospettive future viene (controvoglia) mandata dalla madre Marta (Margherita Buy) a “supervisionare” la situazione del nonno, sempre più minacciato dall’incombenza della demenza senile.

Dalia ricorda qualcosa della sua infanzia ad Alba, ma non abbastanza da riuscire a instaurare un rapporto pacifico con Igor, che sembra a tutti i costi rifiutare la sua presenza. Lui è un cercatore di trifole: non ha di certo bisogno del supporto di un’anima vagante e senza esperienza come quella della nipote. Il nonno glielo dice chiaramente: you are lost. Ma anche Igor è perso: nei ricordi del passato, nella sua stessa casa che l’ha ospitato per anni e che ora sta cadendo a pezzi.

Il prezzo di una trifola piuttosto grande potrebbe salvarlo dalla disastrosa condizione economica in cui si trova. L’anziano spera che Giove sferri l’ultimo fulmine, il dardo fatale che sollevi la terra per far fuori uscire la trifola salvifica.

Ed ecco che la ricerca si trasforma in ossessione, che in realtà è la smania di riscoprire se stessi, la ricerca di un pezzo d’identità che possa darci un valore. Dalia ha urgenza di capire chi è lei, ma prima di tutto cosa era prima.

In Trifole l’azione di scavare, di cercare il tesoro, si limita a questo pensiero: ritrovare la memoria, come Dalia che ammira il muro della casa tappezzato di storie e premi che il suo nonno ha ricevuto negli anni; o come il nonno che scavando nel suo passato si rivede nella nipote, donandole l’armatura da cercatore per trovare la trifola che salverà la sua situazione economica.

I paesaggi unici: la regia assorbe tutta la natura maestosa delle Langhe, evitando il racconto-cartolina ma adattandolo a racconto sereno e distensivo. Spesso la macchina si lascia guidare da strani movimenti, prendendo a volte il punto di vista di Birba, o sperimentando suono e immagine come fossimo traghettati da un’allucinazione.

Non è un caso questa scelta poiché nel film sono presenti gli elementi tipici della favola, con tanto di streghe del bosco e principesse. Nel terzo atto entriamo proprio in un’altra dimensione, quella delle feste, delle aste, del dio denaro. Dalia qui diventa una principessa-spia intenta a salvare la trifola che aveva trovato.

Trifole – Le radici dimenticate è un racconto sincero ed emozionante, dal messaggio chiaro e molto semplice: non importa quanto grande sia, anche una piccola trifola può salvare una vita.

Trifole - Le radici dimenticate di Gabriele Fabbro (Credits: Officine UBU)
Trifole – Le radici dimenticate di Gabriele Fabbro (Credits: Officine UBU)

 

Sintesi

Una favola italiana dalla narrazione internazionale, facilmente apprezzabile per i toni dolci e allo stesso tempo malinconici. Una lenta e dolce camminata autunnale nelle Langhe magiche diretta e scritta con emozione.

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