Troppo cattivi recensione film di Pierre Perifel con le voci italiane di Andrea Perroni, Edoardo Ferrario, Valerio Lundini, Margherita Vicario, Saverio Raimondo
A grandi linee, i film d’animazione per famiglie si possono dividere in due macro-insiemi: in uno troviamo quelli che vogliono conciliare il coinvolgimento di un pubblico composto sia da giovanissimi che da adulti; nell’altro, invece, prendono posto tutti quei film che ricercano la sola attenzione dei più piccoli. Nessuno dei due rappresenta il modo giusto o sbagliato di approcciarsi alla comunicazione per immagini, ma è comunque importante riconoscere queste ambivalenti linee di pensiero.
I casi emblematici del primo gruppo sono i film Pixar, capaci di parlare a un pubblico vastissimo attraverso argomenti e messe in scena funzionali all’identificazione di un gran numero di spettatori, non sdegnando anche scelte audaci, che potrebbero non incontrare il consenso dei più piccoli. Ma ne sono stati un esempio per diversi anni anche i film firmati Dreamworks Animation, spesso più sregolati e maturi rispetto alla controparte disneyana. Bastano pochi nomi delle “origini” per dare un’idea: Il principe d’Egitto, La strada per El Dorado, Shrek. Film come questi potevano essere fruiti, per la maggior parte, da bambini di diverse età, ma esistevano una serie di sottotesti, doppi sensi e sottigliezze che solo un pubblico adulto era in grado di individuare.
Dal primo periodo, segnato dalla direzione di Jeffrey Katzenberg (mente che, prima di fondare Dreamworks insieme a Spielberg e Geffen, aveva riportato la Disney sull’onda del successo negli anni Novanta: il cosiddetto “Rinascimento”), si è passati attraverso un incontro più diretto tra “figli e genitori”, con pellicole come Kung Fu Panda e Dragon Trainer, fino ad arrivare all’acquisizione da parte di Universal nel 2016. In questi ultimi anni, Dreamworks sembra aver preso la strada opposta rispetto ai primi lavori, andando a cercare sempre più un pubblico di giovani. Il più recente dei loro lungometraggi, Troppo cattivi, diretto da Pierre Perifel con Sam Rockwell, Craig Robinson, Anthony Ramos, Awkwafina e le voci italiane di Andrea Perroni, Valerio Lundini e Francesco De Carlo ne è una prova.
Il film segue le vicende dei Troppo cattivi, una banda di criminali che attuano le loro malefatte in una città dove persone e animali antropomorfi convivono in serenità. I membri della banda sono Snake (uno scontroso serpente scassinatore), Shark (uno squalo formidabile nell’arte del travestimento), Webs o Miss Tarantola (una tarantola hacker capace di penetrare qualsiasi sistema di sicurezza), Piranha (un piranha facilmente irritabile che non disdegna mai uno scontro). Questi sono capitanati da Wolf, un lupo truffatore molto abile con le parole (una sorta di Danny Ocean, ma con il pelo). A causa di alcune “complicazioni” (che non sveleremo) il gruppo di super-criminali si trova a dover rigare dritto, cercando di passare dai “troppo cattivi” ai “troppo buoni”. Questo cambiamento di comportamento, però, creerà dei dissidi interni alla banda, bloccata sul limitare tra ciò che è giusto è ciò che è sbagliato.
Questo, a grandi linee, è ciò di cui tratta il film. Una storia semplice, abusata e facilmente prevedibile sin dai primi minuti, ma sicuramente capace di intrattenere i più piccoli. Proprio in questo aspetto troviamo quel passaggio dal primo al secondo insieme di cui sopra. Il target di riferimento è da subito evidente e la pellicola non sta troppo a preoccuparsi dell’efficacia di determinate scelte narrative. Tuttavia, non possiamo chiudere entrambi gli occhi solo perché il film non ha intenzione di relazionarsi con un pubblico adulto (composto principalmente dai genitori che accompagnano i propri figli in sala). La banalità delle situazioni e delle risoluzioni si fa sentire parecchie volte, anche perché al pellicola (specialmente nella seconda metà) è pregna di “colpi di scena” che fanno il verso a una tradizione narrativa di genere spionistico/poliziesco che, anche se non si è amanti incalliti del linguaggio cinematografico, risultano fin troppo familiari.
Dal punto di vista tecnico, il film si accoda a quel filone di mescolanza tra animazione 2D e 3D che ormai spopola all’interno dell’industria. Nonostante Troppo cattivi nasca come graphic novel (creata dall’australiano Aaron Blabey), Dreamworks ha scelto di distaccarsi dall’origine fumettistica molto particolare (e anche abbastanza inquietante) per dirigersi, come spesso accade in questi casi, su un fronte più “affasciante” (specialmente per il mercato del merchandise). Questo, però, ha portato a un’anonimizzazione dei personaggi, privi di carattere e iconicità. Sembra di conoscerli da sempre, il che è tanto un bene quanto un male. Stesso discorso vale per gli ambienti, in cui la memoria combatte tra un’identificazione con Los Angeles e una con innumerevoli altri film d’animazione relativamente recenti come, ad esempio, la serie di Cattivissimo me. In buona sostanza, alla fine della proiezione non rimane alcun elemento visivo capace di sintetizzare iconicamente il film, un risultato che un prodotto che punta tutto sulla propria immagine certamente non desidera di raggiungere.