Tutto il mio folle amore: Intervista a Gabriele Salvatores, Valeria Golino, Claudio Santamaria e Mauro Pagani durante la Mostra del Cinema di Venezia
Tutto il mio folle amore: la nostra recensione in anteprima da Venezia 76
Nel film Tutto il mio folle amore si sente predominante la presenza della musica, fin dal titolo che è un doppio omaggio a Modugno… che lavoro ha fatto il regista insieme al musicista?
Gabriele Salvatores: Avendo protagonista un cantante, abbiamo limitato un pochino la presenza di altre musiche originali, e abbiamo scelto una strada più minimalista, più particolare e sperimentale. Il grande lavoro che ha fatto Mauro è il lavoro di riscrittura e riarrangiamento dei brani di Domenico Modugno, appunto, che vi posso assicurare non è così semplice e scontato. Per fortuna avevamo un maestro assoluto come lui, e un cantAttore come si definisce Claudio (Santamaria, ndr) con cui Mauro mi pare si sia trovato molto bene… poi, se avrete modo di risentirli, questi riarrangiamenti sono tutti molto “pensati”, mai lasciati al caso. Di Mauro conosciamo ovviamente lo splendido lavoro fatto sulla produzione di De Andrè, ma ultimamente sta facendo un’operazione bellissima sulle canzoni napoletane.
Mauro Pagani: Prima di tutto, aver la fortuna di mettere le mani su un bel repertorio aiuta tanto, tantissimo. E Modugno è stato un grandissimo autore. Potendo poi scegliere tra tanti pezzi, dovevamo trovare quattro o cinque brani che fossero in grado di supportare anche degli arrangiamenti, come ha detto Gabriele, decisi dalla sceneggiatura. E una delle cose con cui abbiamo avuto a che fare quando si decide di arrangiare nuovamente un brano è che quando in una scena, ad esempio, dove Willi (il personaggio di Santamaria, ndr) canta con alcuni musicisti, e sapere quanti fossero i musicisti, decidendolo insieme. A quel punto bisognava rispettare un suono generale da balera, da locale da ballo, che poi è quello che Willi fa. Io ho avuto poi la fortuna di cominciare la mia carriera proprio nei locali da ballo, prima che succedesse la PF: suonavo nei dancing, nei club, ero un giovane musicista assunto perché svecchiavo la prima fila, visto che erano tutti un po’ su con l’età. E suonavo con una giacca di lamé molto simile a quella che indossa Claudio nel film, una volta addirittura mi fu prestata da un collega molto più alto di me e sembrava suonassi con il paletot… comunque, se prendi l’abitudine ad un suono da night club, dove conta molto l’organico, devi considerare poi quali strumenti usare, per rendere reale il suono. Se ad esempio ce ne sono solo quattro, devi mettere necessariamente il sassofono, perché e tipico, insomma devi scegliere di riprodurre quel suono lì. Poi, riarrangiare Volare, che hanno già riarrangiato in duecentocinquantamila musicisti: devi trovare la strada giusta, un suono inedito e adatto al set, alla storia e soprattutto alla voce del cantante. Certo, i grandi pezzi stanno su da soli, ma devi anche avere una tua originalità specifica. E comunque potevo ance contare su una voce straordinaria: perché secondo me Claudio potrebbe tranquillamente intraprendere una carriera da cantante professionista. È davvero bravo, è stata una grande sorpresa, ha grandi doti vocali e una grandissima vocalità, e non lo dico solo perché siamo qui davanti a lui.
Claudio Santamaria: Si guarda, me l’hanno detto che somiglio a Modugno, ma non come dici tu (ride). Una volta stavo girando un film in Puglia, Fine pena mai, e avevo i baffi. Un giorno mi si avvicina il regista e mi dice, “‘A Cla’, te guardavo e non capivo a chi caxxx assomigliavi co’ sti baffetti, ma sei uguale a Modugno!!”
C’è una sequenza che è particolarmente toccante, ed è quella dove Willi e Vincent imparano finalmente a comunicare perché il padre scopre che il figlio, pur non riuscendo a parlare, riesce a scrivere benissimo. Ce ne vuole parlare?
Gabriele Salvatores: Sì, guarda, è una scena a cui tengo moltissimo. Come ho detto dappertutto, noi non volevamo fare un film sulla malattia e non l’abbiamo fatto, ma ci siamo ovviamente documentati sull’autismo. E abbiamo scoperto che ci sono alcune metodi, non scientifici e non accettati dalla comunità scientifica, dove c’è un tutor che mette la mano sulla spalla del ragazzo con disabilità e questo scrive perfettamente. Non ci volevo credere ma l’ho visto succedere, e mi è sembrato doveroso metterlo nel film. Tra l’altro, è uno snodo fondamentale della trama di Tutto il mio folle amore.
Il personaggio di Elena è finemente stratificato, e viene fuori il suo spessore specialmente per come ritrae un genitore di un ragazzo con disabilità, perché affiancato al suo grande amore ci sono difficoltà e a volte insofferenze…
Valeria Golino: Mi sono avvicinata al ruolo in Tutto il mio folle amore con molta circospezione, sapevo che era difficile rendergli giustizia. Però ho avuto fortuna perché ho trovato già tutto scritto, era già tutto in sceneggiatura: il disagio, questo amore attorcigliato, questo senso di inadeguatezza. Io ho cominciato a parlarne subito in questi termini, del disagio e di come fare in modo che questo disagio pian piano diventasse altro. In più ho avuto il privilegio di conoscere la mamma del ragazzo protagonista del libro e quindi reale protagonista, Andrea, quando stavamo già per cominciare le riprese. E quindi le ho parlato, e ho poi notato che era molto diverso l’approccio della mamma e quello del papà verso questo ragazzo: anche se ovviamente rispetto al film hanno ormai rapporti molto più risolti, il papà si relaziona con il figlio in maniera più semplice, diretta, la mamma ancora oggi – che Andrea ha trovato non dico la sua indipendenza ma la sua dimensione – lei gli dice ogni tanto “ma parla qualche volta, parla ogni tanto”, ma è anche bello che sia così, così pratica, è comunque una donna molto forte. Diciamo che allora tutti questi elementi, la sceneggiatura, la conoscenza della madre, gli incontri, mi sono serviti a mettermi, a livello emotivo, in quel personaggio.
Gianlorenzo