Un altro giro (Another Round – Druk) recensione film di Thomas Vinterberg con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Millang, Lars Ranthe, Maria Bonnevie e Helene Reingaard Neumann
“Un altro giro – Druk non è un’apologia all’alcol” afferma, più o meno convinto, il regista Thomas Vinterberg. E, in effetti, non lo è; anche se, a primo acchito, uno sguardo un po’ superficiale potrebbe interpretare ben due ore di film come una semplice spinta ad esorcizzare le paure e le ansie, lavorative e amorose, in qualche bicchiere di vino in più.
Vinterberg (fondatore del Dogma 95, insieme a Lars Von Trier), con il co-sceneggiatore Tobias Lindholm, sceneggia un film autentico e trascinante, a tratti filosofico e psicoanalitico, una vera e propria celebrazione della vita pura, senza nessuna retorica. Il tutto si basa su un’intuizione dello psichiatra norvegese Finn Skårderud, secondo il quale, l’uomo nascerebbe con una carenza d’alcol nel sangue, precisamente pari allo 0,05%. Per colmarla, sarebbe dunque produttivo ingerire codesta quantità durante le attività quotidiane (lavorative, relazionali, amorose), così da approdare alla creazione dell’equilibrio psicofisico perfetto, permettendo così di godere di performance strabilianti in ogni ambito. Per quanto essa non sia accademicamente una teoria scientifica, è nel film, un grande escamotage per scavare all’interno delle vite dei quattro uomini, che da ora in poi, grazie all’alcol, saranno totalmente disinibiti, meno frustrati ed angosciati.
Quattro amici, insegnanti in un liceo, si rivedono in occasione del compleanno di uno di loro, Nikolaj (Magnus Millang). Durante la cena, si accorgono del malumore di Martin (interpretato magistralmente da Mads Mikkelsen), professore di storia, ormai sovrastato da un immotivato percorso di vita, sia dal punto di vista professionale, tanto da quello amoroso. Per tirare su l’amico, inizieranno a bere grosse quantità d’alcol, passando una notte brava; non limitandosi solo a ricordare le bravate giovanili, si appresteranno a riviverle sui loro corpi, ormai non più molto resistenti. La serata sarà l’evento scatenante, dal quale nascerà l’intenzione di sperimentare la teoria di Skårderud. Non si limiteranno però solo a sperimentarla, ma trattandolo come un vero e proprio esperimento accademico, scriveranno un saggio il quale riporterà tutti i dati.
Vinterberg ricorda come abbia volutamente coinvolto degli insegnanti di scuola superiore, molto spesso non rispettati dalla società. Essi dovrebbero essere lodati e trattati come eroi quotidiani, perché riaffrontano ogni giorno i drammi della loro adolescenza, confrontandosi con i propri alunni. Insomma, non è difficile notare come il film voglia essere uno specchio della giovinezza e della mezza età, dei rapporti che tra due periodi di vita distanti possano instaurarsi. In fondo, un quarantenne, non è che alla fine della sua seconda adolescenza, e per questo non ha meno problemi di quanti ne possa avere un diciottenne, anzi, essi vengono costantemente appesantiti dalle responsabilità e dalle relative conseguenze.
Cos’è la giovinezza? Un sogno.
Cos’è l’amore? Il contenuto del sogno.
(Søren Kierkegaard)
La famosa citazione del filosofo danese Søren Kierkegaard è il primo frammento del film: in bianco su uno sfondo nero, ci pone fin da subito davanti al fortissimo esistenzialismo che caratterizza la disillusione di Un altro giro – Druk. La giovinezza dei quattro amici è fuggita, non si vive più di incanti, di desideri e di voglie: Martin non è più un accanito ricercatore storico, non ama più insegnare, ma conduce una lezione piatta che lo porterà ad essere respinto dai suoi studenti, timorosi di non passare l’esame di storia. Ma, dopo aver assunto quello 0,05% d’alcol che manca, terrà una lezione coinvolgente, volta a giustificare dentro di lui la sua ormai costante assunzione: grandi personaggi, come Roosevelt e Churchill, erano fortemente dipendenti dall’alcol (Churchill affermava ”Non bevo mai prima di colazione”); invece, un pazzo disumano come Hitler, era un consumatore scostante d’alcol, conducendo una vita particolarmente ordinata. “Il mondo non è mai come ve lo aspettate”, è questa la gigantesca lezione di vita che Martin dà ai suoi alunni.
Tommy (Thomas Bo Larsen), insegnante di educazione fisica, riesce a far segnare un gol ad un bambino ‘Quattrocchi’, prima emarginato da tutti ed ora grande uomo della partita. Peter (Lars Ranthe), insegnante di canto, attraverso una pratica zen/meditativa, riesce a far intonare ai suoi allievi un canto angelico. Insomma, il sogno della giovinezza si ripropone, anche nelle relazioni amorose: Martin va finalmente in vacanza con sua moglie Anika (Maria Bonnevie) e i suoi due figli, abbandonandosi dopo tanto tempo ad una notte di passione con lei. Sembrerebbe dunque che la disillusione kirkegardiana si sia placata, come se una nuova giovinezza fosse possibile per i quattro amici, come se possano continuare a vivere nell’onirico sogno dell’amore.
“Stopper her”
“Fermati lì”. Un veloce e silenzioso montaggio alternato, inquadra i quattro amici distrutti dalle conseguenze dell’alcol: il saggio continua avvertendo, chiunque mai lo leggerà, di fermarsi a causa delle possibili conseguenze incontrollabili e del rischio d’alcolismo. La parola chiave, precisamente a mezz’ora dalla fine del film, è “alkoholisme”. Come ogni repentina salita, ecco la cruda e dolorosa discesa: la dipendenza bussa alla porta. Tommy perde il controllo più di tutti gli altri, arrivando ubriaco ad una riunione, dove la preside del liceo cercava di fare chiarezza proprio sulla presenza di bottiglie di alcolici per le aule della scuola. Martin cercherà d’aiutarlo, riportandolo a casa e prendendosene cura, ma dalle parole che Tommy usa per congedarsi, è facile intuire le sue intenzioni: “Io faccio il tifo per te e Anika” ,“A testa alta, vecchio”, “ Questa è l’immagine che voglio conservare di te”. Martin non intuisce le intenzioni e risponde “Ci sentiamo?”, più che convinto della sua decisione Tommy non risponderà. Quando entriamo in chiesa con Martin e Peter, abbiamo già chiaro di chi sia il funerale. I 3 amici rimasti, affranti, decidono di brindare a Tommy, lasciandosi coinvolgere poi dalla festa di diploma dei loro studenti. La scena finale, sarà una danza celebrativa della vita, scandita e ritmata da What a Life del trio danese Scarlet Pleasure: un inno alla gioia trascinante e godibile, animato dai passi jazz di Mads Mikkelsen. Martin beve e brinda sia alla gioia di ritrovarsi amato dai suoi alunni, dunque appagato professionalmente e, inoltre, forse anche al recupero della sua storia d’amore con Anika, precedentemente finita. “Sento come se Tommy stesse cavalcando per me e per te”, scrive Martin alla sua ex moglie. “Lo sento anche io”, risponde lei.
La libertà nella ricerca della “decisione migliore”
È tangibile quanto il filosofo Søren Kierkegaard abbia influenzato le vicende del film e il loro svolgimento; è altrettanto tangibile come, più ampiamente, i pensieri del filosofo danese abbiano influenzato il modo di vivere e pensare dei paesi nordici. Kierkegaard ebbe una vita scandita dalla sua vocazione filosofica: non si sposò con una donna, per la quale nutriva dei sentimenti, per la paura che fosse la “malinconia umana” a decidere per lui, e non quel sentimento amorfo che è l’amore. Nei suoi scritti lavora spesso sulla relazione tra il libero arbitrio e l’angoscia, tra i due, si cela la possibilità di scelta: la scelta è per Kierkegaard, un ciclone che avvolge e domina l’uomo, senza che egli se ne accorga.
La libertà, come “infinita possibilità di potere”, espressione massima dell’io, cerca di affermarsi provocando, però, solo terrore e angoscia: la possibilità di scegliere tra mille varianti è il dramma dell’esistenza. Tra milioni di mondi potenziali, solo uno sarà attualizzato, solo uno sarà la “decisione migliore”. La consapevolezza dell’uomo di essere finito e fallibile, non lo renderà però degno d’operare la scelta migliore per sé, la strada univoca, quella che non vede nessun bivio. Compiendo la scelta, l’uomo sarà ancora relegato al fallimento: qualcosa lo tormenterà per sempre, nella contraddizione perenne che è la vita in sé.
Ed è qui, in queste considerazioni, che riscopriamo Un altro giro – Druk: uomini a metà della loro vita che considerano quanto sia stata giusta la loro scelta, quanto la strada imboccata sia percorribile. Il fallimento lo hanno intravisto: qualcuno di loro lo ha toccato con mano, qualche altro lo ha attraversato. Nel dramma dell’esistere in tutte le sue molteplici possibilità, decidono d’aver fede, di provare a riconoscersi e a riconoscere. L’angoscia si redime solo mediante la fede, il dilemma continua però ad essere fino alla fine del film, e direi anche della vita: Fede? In chi? In che cosa?
Dopo aver sbancato agli European Film Awards, Un altro giro rappresenterà la Danimarca nella categoria per il miglior film internazionale ai Premi Oscar 2021.