Un volto due destini – I Know This Much is True recensione miniserie TV di Derek Cianfrance con Mark Ruffalo, Kathryn Hahn, Melissa Leo, Rosie O’Donnell, Juliette Lewis, Imogen Poots e Marcello Fonte
Il cinema di Derek Cianfrance s’è da sempre caratterizzato per una meticolosa cura delle emozioni umane. A partire da Blue Valentine (2010), con Ryan Gosling e Michelle Williams – forse una delle più delicate rappresentazioni filmiche di disfunzionali dinamiche relazionali; o Come un tuono (2012) – con Bradley Cooper, Eva Mendes e ancora Gosling – un’epica tragica divisa in tre segmenti narrativi, con cui raccontare di padri e figli, retaggio e vendetta. Non ultimo il decisamente malriuscito La luce sugli oceani (2016). Opera in cui il cineasta statunitense può fregiarsi della chimica palpabile di Michael Fassbender e Alicia Vikander. Quello di Cianfrance è un cinema fatto di racconti intensi e di solidi drammi, capace negli anni di ridar vita al melodramma attraverso una ricodifica delle sue stesse estetiche filmiche. Non stupisce quindi che con Un volto, due destini – I Know This Much is True (2020), Cianfrance si sia superato; alzando sensibilmente la cifra della carica drammatica.
Freschissima vincitrice dell’Emmy Award 2020 per il Miglior attore protagonista in una miniserie grazie allo strepitoso (e doppio) Mark Ruffalo, l’opera (mini)seriale di HBO tratta dall’omonimo romanzo del 2009 di Wally Lamb, rappresenta un unicum nell’opus filmico di Cianfrance.
Questo per via dei temi trattati. Un volto, due destini infatti va ben oltre il raccontare di uomini borderline in rapporti d’amore disastrati (e disastrosi). Rappresenta piuttosto la summa dell’idea di racconto di Cianfrance avvolta in un Ruffalo che è duplice vittima degli eventi nei panni dei gemelli Birdsey: ora come Dominick, ora come Thomas. Agente passivo di una vita condannata sin dalla nascita a cui Cianfrance cuce addosso un contesto scenico di sofferenza degna del Giobbe della Bibbia.
Nel cast della miniserie in sei parti, in onda su Sky Atlantic dal 22 settembre 2020, figurano Mark Ruffalo, Melissa Leo, Rob Huebel, Kathryn Hahn, Juliette Lewis, Imogen Poots; e ancora Rosie O’Donnell, Archie Panjabi, Marcello Fonte, John Procaccino, Simone Coppo e Irene Muscarà.
Un volto, due destini: sinossi
Connecticut, 1998. In una tranquilla libreria pubblica, Thomas Birdsey (Mark Ruffalo) si taglia una mano come atto rituale. Convinto infatti che questo suo gesto potrà fermare la Guerra del Golfo. Thomas è un paranoide schizofrenico che vive stabilmente in un istituto d’igiene mentale. Fratello gemello di Dominic (Mark Ruffalo), un imbianchino, la cui vita è stata segnata dal legame con il fratello.
Per tutta la vita infatti, Dominic s’è preso cura di lui. Complice anche un quadro familiare di sofferenza e dolore. Un patrigno violento (John Procaccino); una madre malata di cancro (Melissa Leo); a cui s’aggiunge un disastroso rapporto con l’ex-moglie Dessa (Kathryn Hahn).
Il giorno del taglio della mano, però, scombussola totalmente il già delicatissimo equilibrio tra Dominick e Thomas. Facendo emergere così risentimento, dolore, e il quadro di una vita dove Dominick ha sempre dovuto subire il suo essere “fratello di Thomas“. Inizia così un viaggio nella vita di un volto e due destini in un enigmatico retaggio siciliano avvolto in un diario dell’Ottocento, da cui emergerà, forse, la chiave dell’inconfessato segreto di una famiglia più unica che rara.
Collage di elementi disparati
Un coltellaccio; un hamburger; una mano tagliata; una madre morente. Si permea di a-linearità l’apertura di racconto di Un volto, due destini in un continuo gioco di digressioni temporali tra passato e presente/voce narrante e azioni sceniche, con cui catapultarci nel cuore del racconto: la dinamica relazionale dei due volti di Mark Ruffalo.
Quei Dominick e Thomas così opposti e così simili in un comune retaggio di dolore che trovano perfetta esplicazione nelle parole della Dottoressa Patel della Panjabi:
“Lei è lui. Lui è lei. Più che fratelli siete ognuno, l’altro”
Patrigni violenti; padri assenti “immaginati come eroi”; madri divorate dal cancro e da una vita di dolore; figli mai nati e rapporti deteriorati. Come dicevamo in apertura, l’arco narrativo di Dominick rievoca e non poco quello del Giobbe biblico. Un incedere di dolore e sofferenza, cucito addosso a un racconto dall’andamento spedito che trova risalto e valorizzazione nella cura registica di un Cianfrance ispirato e metodico.
Sorprende ancora il padre del neo-mélo hollywoodiano, di un cinema dal sapore lontano. Quasi Sirkiano de Lo specchio della vita (1959) nel raccontare di dolore e sofferenza – e gioie fugaci – che trovano compimento in una cura del dettaglio e delle emozioni da manuale. Una regia compassata, silenziosa, quella di Cianfrance. Di primissimi piani con cui cogliere lacrime e baci rubati, e di campi lunghi con cui saggiare le atmosfere cupe e di una fotografia soffusa e delicata. Ma soprattutto delle semi-soggettive con cui il regista americano ci fa avvertire il peso sulle spalle di Dominick: un uomo condannato sin dalla nascita, al suo retaggio, e allo “scomodo” gemello.
La sofferenza secondo Derek Cianfrance
In tal senso, Un volto, due destini, è per davvero la summa del cinema di Cianfrance specie nel considerare miniserie HBO come autentico e puro “cinema prestato alla televisione”; come spesso accade di questi tempi del resto. L’a-linearità e la doppia dimensione scenica di Ruffalo, permettono a Cianfrance di dispiegare un arco narrativo bivalente in cui l’ex-Bruce Banner riesce ad esprimere le due facce di “un’ancora attaccata al collo” – risultando ora il peso, ora il corpo che lo deve sostenere.
E tutto intorno, una galassia di agenti scenici: da una Leo sofferente e intensa; alle caotiche Hahn e Lewis; sino e alla decisa O’Donnell. Donne nella vita di Dominick e Thomas, che non fanno che valorizzare – di riflesso – un’esistenza di sofferenza, a prescindere da ogni azione compiuta per provare a migliorare le cose.
Un volto, due destini: una miniserie d’insita drammaticità
Pagando forse delle svolte narrative semplicistiche e puramente funzionali al caricare di senso il racconto – specie nello sviluppo del turning point – Un volto, due destini conferma la bontà delle produzioni HBO in particolare nella capacità di saper calibrare intelligentemente il peso, e la portata, della fortissima carica drammatica del racconto.
L’opera di Cianfrance, si fregia di performance di altissimo livello e di quel pizzico d’Italia – tra Fonte, Coppo e Muscarà – con cui dar colore al racconto dando spessore al contesto scenico-narrativo. Quel che resta è lo splendido viaggio nel dolore umano – ben oltre l’enfasi drammatica di Kidding (2018-2020) – operato dal cineasta americano. Sviluppando così un inevitabile rapporto simbiotico-empatico tra spettatore e agenti scenici con un Ruffalo alla performance che vale la carriera. Hulk spacca, Thomas subisce, Dominick reagisce, Mark consacra il suo talento.