Unbelievable: recensione della miniserie TV prodotta da Netflix e creata da Susannah Grant con Kaitlyn Dever, Toni Collette e Merritt Wever
Unbelievable è uno dei prodotti Netflix che ha fatto più parlare di sé nelle ultime settimane; una robusta miniserie di otto puntate che, restando fedele al genere del poliziesco televisivo, ha saputo trattare con originalità e particolare attenzione alle vittime la storia della ricerca di uno stupratore seriale che fra il 2008 e il 2011 ha realmente mietuto numerose vittime negli stati federali di Washington e del Colorado. Prendendo ispirazione da un articolo vincitore del premio Pulitzer, Unbelievable è stata scritta e diretta da Susannah Grant, versatile sceneggiatrice americana co-autrice, fra le altre cose, del cartone animato di Pocahontas e di Erin Brockovich di Soderbergh.
La miniserie si fa notare innanzitutto per il cast quasi interamente femminile: la protagonista è la bravissima e giovanissima Kaitlyn Dever, che veste i panni della diciottenne Marie Adler, non creduta dalla polizia di Washington riguardo alla sua denuncia per stupro nel 2008; parallelamente alla sua vicenda seguiamo l’indagine condotta nel 2011 dalla coppia di detective Karen Duvall (interpretata da Merritt Wever) e Grace Rasmussen (interpretata da Toni Colette, candidata all’Oscar per Il sesto senso e di recente salita alla ribalta per il suo ruolo in Hereditary – Le radici del male).
L’innesto temporale non funziona alla perfezione e puo’ creare qualche piccola confusione, del tutto trascurabile ai fini della scorrevolezza della narrazione; il vero punto di forza di Unbelievable sta nella particolare capacità della Grant nel raccontare il tema dello stupro senza morbosità e senza censure, in una maniera limpida che potrebbe fare scuola.
Gli interrogatori e tutte le procedure che seguono una denuncia per stupro vengono raccontate con grande precisione e con un apparente distacco che salva la miniserie dall’inutile retorica (fatta eccezione per qualche banalità nel finale): Marie, ragazza problematica che dopo la morte dei genitori ha fatto il giro delle famiglie affidatarie e degli istituti minorili, viene costantemente obbligata a ripetere il doloroso racconto dello stupro; da un lato il suo stato confusionario che fa emergere alcune differenze fra una deposizione, dall’altro lato l’apparente freddezza con cui ha reagito all’aggressione la rende “indegna di fede” – in questo senso va inteso il titolo internazionale – e la espone a requisitorie da parte dei poliziotti tanto pressanti da farle ritirare l’accusa per stupro (procurandole così una denuncia per falsa testimonianza).
Al contrario, le due detective non certo possono cambiare la prassi giuridica, ma sanno relazionarsi con le vittime secondo altre modalità ben più concilianti e adatte al momento: parte del pubblico italiano potrà ricordare il noto documentario TV della RAI Processo per stupro e la parte finale de Lo stupro di Franca Rame. L’attenta sceneggiatura della Grant sa però evitare la schematizzazione “poliziotti donna = buoni” vs. “poliziotti uomini = cattivi e maschilisti”, verso una visione più sfaccettata del problema (le prime a sospettare che Marie abbia inventato tutto non sono i poliziotti ma due sue madri affidatarie che, essendo state anche loro oggetto di violenza sessuale da giovani, non riescono a comprendere la reazione della ragazza).
Ci voleva bravura e ci voleva coraggio per esplorare una storia di questo genere, ma Unbelievable, grazie al talentuoso ensamble che l’ha portato a compimento, riesce a presentarsi come una delle serie migliori del 2019, non priva di risvolti politici e perfettamente in linea con lo “spirito dei tempi”.
L’augurio è che si possano imporre sempre più prodotti di questa matrice, forti di una narrazione “femminile” e di una nuova introspezione nel personaggio (senza sfociare nell’ideologia), capaci più che di tornare su temi già trattati di coprire alcune “zone grigie” lasciate dalle narrazioni seriali che le hanno precedute.
Ludovico